Forse sono davvero pochi quelli che conoscono la storia di Domenico Mondelli, ufficiale italiano di colore, che Mauro Valeri ha descritto nel suo libro “Il Generale Nero” (Odradek Edizioni).
Mondelli non fu l’unico ufficiale di colore, ma fu l’unico ad avere avuto la forza di opporsi al fascismo e ai pregiudizi dell’apparato politico-militare presenti anche dopo la caduta del regime e a vincere la sua ennesima battaglia.
Nato ad Asmara il 30 giugno 1886, era figlio di una eritrea e di un italiano, lo stesso (si dice) che successivamente cercherà di adottarlo, ovvero dell’allora tenente dei bersaglieri, poi divenuto colonnello, Attilio Mondelli.
A sei anni Domenico viene portato in Italia, a Parma, e qui inizia gli studi in attesa di maturare il requisito dei diciotto anni che gli consentirà l’adozione, ma la situazione si complica per via del fatto che Attilio Mondelli, innamoratosi di una giovane bolognese, diventa padre due volte e la legge di allora non consentiva l’adozione a chi aveva dei figli naturali.
Per raggiungere lo scopo di farlo diventare italiano, Attilio Mondelli lo iscrive al Collegio Militare di Roma e, susseguentemente, il giovane entra alla Regia Accademia Militare di Modena da dove uscirà nel 1905 con il grado di sottotenente e, secondo quanto previsto dal codice civile del 1865, italiano in quanto militare. Il giovane ufficiale sceglie il corpo dei Bersaglieri che aveva visto già a metà dell’ottocento un altro ufficiale moro, il capitano Michele Amatore.
L’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915 lo vede inquadrato con il grado di capitano pilota nel Corpo Aeronautico Militare, dove intanto è transitato dopo avere conseguito il brevetto di pilotaggio. Volando a bassa quota sul fronte nemico, rimedia una ferita e la sua prima medaglia di bronzo al valor Militare. La guerra continua e il 18 febbraio 1916 Domenico Mondelli assume il comando della 7^ Squadriglia da bombardamento. Passerà poi al comando, nell’aprile del 1917, della 1^ Squadriglia Caproni e, in luglio, al comando dell’XI Gruppo.
Sembra, peraltro, che il giovane ufficiale avesse un particolare successo con le donne e che questo fosse uno dei motivi principali dell’invidia che covavano in molti nei suoi confronti, fino al punto di formulare contro di lui, primo pilota militare di colore al mondo, l’accusa di avere provocato un incidente durante il quale un aereo della sua squadriglia aveva colpito per errore una trincea italiana. Accusa dimostratasi poi infondata, ma che gli costò il posto in Aviazione.
Rientrato nell’Esercito con il grado di maggiore, assume il comando del 67° Battaglione del 18° Reggimento Bersaglieri e, subito dopo, quello del XXIII Reparto d’assalto “Fiamme Cremisi” della neocostituita specialità Arditi.
Il 1º maggio 1918, con il grado di tenente colonnello, è al comando del I° battaglione del 242° Reggimento Fanteria della Brigata “Teramo”, dove si distingue per l’ardimento e la presenza sempre in prima linea con i suoi uomini che gli varranno, alla fine della guerra, e dopo aver combattuto anche in Albania nel 1920 alla testa del IX Reparto d’Assalto, un totale di quattro medaglie al valor militare, due d’argento e due di bronzo, e il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Dopo tutte le battaglie combattute sul campo, il coraggioso bersagliere, aviatore e ardito, si trova a doverne affrontare ancora una, ma questa volta di natura legale. Il fascismo, infatti, vara la discriminazione razziale e gli viene negata la promozione a colonnello. La logica fascista prevedeva che “un italiano nero o meticcio non potesse dare ordini ad un italiano bianco”. Ma il regime aveva fatto i conti senza l’oste, e il nostro combattente non si arrende e intraprende un’azione legale contro il Ministero della Guerra, ovvero contro Mussolini, che però lo porta all’estromissione dai ruoli attivi con il collocamento nella Riserva.
A peggiorare la situazione conflittuale con il fascismo è la sua appartenenza alla massoneria, alla quale era stato iniziato nella Loggia Stretta Osservanza di Palermo nel 1912 e dove, nel 1919, aveva raggiunto il grado di Maestro. Riprenderà a frequentare la massoneria nel dopoguerra raggiungendo il 33° Grado del Rito Scozzese Antico e Accettato.
Con la fine del regime fascista l’ufficiale torna alla carica per far valere i suoi diritti e riesce a concludere la sua carriera militare con il grado di Generale di Corpo d’Armata Ruolo d’Onore.
Il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat gli conferisce motu proprio il titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Il grande combattente e grande italiano Domenico Mondelli si spegne all’Ospedale Militare del Celio a Roma il 13 dicembre 1974, ma resterà nella storia del nostro Paese come esempio di coerenza e coraggio oltre che militare anche civile, nonché come dimostrazione pratica che a fare grande un uomo non può certamente essere il colore della pelle.