Il 21 aprile il ministro Alfano ha fatto discutere con il suo intervento : «Affondare i barconi degli scafisti, impedire che partano. Noi da soli non possiamo farlo ed è in corso un negoziato con Onu e Ue per avere, in un quadro di legalità internazionale, l’autorizzazione a questo intervento».
I dubbi che tale operazione possa sortire effetto sono tanti: innanzitutto un intervento armato deve porsi degli obiettivi per non affrontare nel futuro situazioni ancora più critiche. Il Generale Fabio Mini, ex comandante in Kosovo, è stato chiaro: «Andare in Libia a fare la guerra è fin troppo facile. Una volta che ci fossimo infilati in quel pantano, però, difficile sarebbe uscirne». Il riferimento all’Afghanistan o Iraq è troppo facile. D’altra parte, ai 5.000 uomini ipotizzati dal ministro Gentiloni, come contingente italiano, dovrebbero aggiungersi come minimo altri 50.000 militari. Avere contro una buona parte delle centoquaranta tribù e duecentotrenta milizie armate libiche, non è cosa da sottovalutare.
Situazione Politico militare e principali milizie in conflitto
Il più forte dei 3 governi libici, quello di Tripoli (non riconosciuto), guidato dalla coalizione islamista Alba libica e dalle cui coste partono la stragrande maggioranza dei migranti, ha lanciato un avvertimento chiaro « collaborate con noi, non bombardate le nostre coste». La richiesta di essere riconosciuti è molto chiara.
D’altra parte, non siamo ancora stati autorizzati dagli USA ad utilizzare i missili hellfire (costo di 100.000 euro l’uno) sui sei droni italiani acquistati dagli americani, cosa che ha lasciato l’amaro in bocca a Renzi durante la sua recente visita ad Obama. Ma tutti prevederebbero innocenti uccisi, i cosiddetti danni collaterali, mediante l’utilizzazione di scudi umani. Il caso del cooperante italiano Giovanni Lo Porto, colpito da un drone in Afghanistan, ha fatto discutere tanto i media europei, sensibili su questi temi.
Anche un blocco navale è stato scartato perché vorrebbe dire che tutti i migranti sui barconi, automaticamente dovrebbero essere presi in cura dai militari e portati nella costa italiana più vicina, agevolando così i trafficanti di esseri umani.
La sconfitta delle richieste italiane è chiara: Cameron non vuole un solo immigrato in Gran Bretagna e la Merkel insiste che l’Italia deve seguire le regole sull’accertamento dei richiedenti asilo (non prendiamo le impronte digitali ai migranti per consentire che, dopo pochi giorni, si trasferiscano quasi illegalmente nei paesi del Nord, attraverso il libero transito delle frontiere, previsto dal trattato di Schengen), infastidita che attualmente il 75% dei migranti che sbarcano in Italia, raggiungono Germania, Francia e Svezia. In pratica, si è deciso una redistribuzione di soli 5.000 chiedenti asilo, a fronte di centinaia di migliaia. Quindi ancora una Europa forte nelle regole economiche, ma non nella politica estera e della difesa comune, con i 28 Paesi con strategie differenti.
Tuttavia, una cosa è perseguire i trafficanti e salvare i migranti, un’altra è combatterne le cause. La paura di ulteriori milioni di disperati, pronti ad affrontare ogni rischio, in fuga dalle guerre e dalle carestie è forte. L’Europa non può e non vuole farsene carico, decidendo di continuare ad effettuare, con Frontex, il solo controllo delle frontiere. Nei circoli diplomatici ormai alcuni rimpiangono Gheddafi, seppur con la sua disumanità e megalomania.
Ma combattere le cause di tale migrazione vuole dire non solo avere un unico interlocutore forte in Libia, attraverso un governo di unità nazionale, ma anche fare una politica di investimenti e cooperazione nell’area sub-sahariana, associati ad un embargo delle armi. Argomenti cari a Prodi, a detta di Renzi non designato dall’ONU quale negoziatore sulla Libia, per i suoi passati rapporti con Gheddafi.