In Algeria emergono precisi indicatori di instabilità. L’occasione è stata la ricandidatura del Presidente uscente Abdelaziz Bouteflika. I giovani rifiutano la riconferma al potere del presidente, “eterno” pur non essendo nominato a vita.
Anche se nel porsi come candidato ha promesso che se eletto, visti i possibili brogli o condizionamenti elettorali che potrebbero accadere, tra un anno indirà nuove elezioni alle quali non si candiderà.
Due le possibili motivazioni di questa scelta: la situazione in Algeria non è stabile per cui serve un ulteriore periodo di pugno di ferro per preparare nuove elezioni veramente libere. Ma c’è anche il sospetto che non tanto il Presidente come persona, oramai stanco ed infermo, quanto il sistema di potere politico, economico e militare che lo sostiene, non voglia perdere la supremazia sul Paese.
Certo i giovani protestano e questo è un positivo segnale per un futuro diverso tutto però da inventare. Staremo a vedere.
Ma c’è dell’altro, la situazione in Algeria non è molto buona. Un indicatore attendibile è quello del mercato del suo petrolio. Le rendite petrolifere registrano una netta diminuzione. Il petrolio non è più una risorsa per tutte le esigenze. La caduta del prezzo del barile impone una diversificazione dell’apparato produttivo industriale che lede interessi consolidati.
L’effetto mediatico che emerge dalle proteste di questi giorni ad Algeri e nel resto del Paese evidenzia solo ostilità verso il possibile quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, e non mostra altre motivazioni di carattere economico e sociale.
Non si sentono slogan contro il carovita o contro la mancanza di sostegno alla parte di popolazione più povera e da sempre trascurata, come ci si aspetterebbe. La situazione è congelata.
Ma questo non significa che il blocco politico e sociale imposto dal regime, evidenziato dalla stagnante crisi attuale del Paese, non abbia anche una motivazione e una dimensione economica, pericolosa perché foriera di seri problemi.
Il settore petrolifero, che consideriamo ad esempio, va ristrutturato. La principale risorsa del Paese va riorganizzata affinché possa produrre ricchezza anche in un mercato dell’energia che negli ultimi anni è profondamente cambiato.
In questo settore l’Algeria è rimasta ingessata. Il regime di Bouteflika si caratterizza per l’imposizione di un clima di attesa, di blocco economico e politico e di verifica, per consentirsi l’utile individuazione di un nuovo conveniente modello di rendita petrolifera che accontenti i vari potentati che fanno riferimento a Bouteflika ed alla sua famiglia economica..
Come ricordano molti analisti “questi due immobilismi sono inestricabilmente legati, perché l’equilibrio politico tra clan – arbitrato dalla figura tutelare di Bouteflika – è anche un consenso tra gruppi di interesse attorno alla distribuzione di risorse da idrocarburi che rappresentano il 95% delle esportazioni e il 60% delle entrate fiscali”.
La pace sociale nel Paese era dovuta anche a questa rendita petrolifera che fino a poco tempo fa aveva finanziato il sostegno alla debole economia ed il conseguente mantenimento della popolazione. Ma ora si legge che il calo dei prezzi dell’idrocarburo, dagli 80-110 USD del periodo 2011-2013 si è passati ai 40-60 USD per del 2015-2017, ha compromesso significativamente l’equilibrio finanziario algerino.
Ma Bouteflika è determinato. Nonostante le proteste degli studenti, cioè del futuro della Nazione, che gli chiedevano di ritirarsi dalla competizione, il presidente uscente si è ufficialmente candidato per le presidenziali in programma il 18 aprile.
Come già ricordato in apertura, Bouteflika una volta rieletto si è impegnato a promuovere una transizione che porti poi a nuove elezioni.
“Mi impegno fin d’ora – ha detto – all’organizzazione di un’elezione presidenziale anticipata” la cui data sarà fissata da una “conferenza nazionale” da istituire subito dopo lo scrutinio del 18 aprile e “mi impegno – ha aggiunto – a non candidarmi per quella elezione”.
Dichiarazione inusuale per un candidato alle presidenziali. Forse un effetto delle proteste degli studenti? Vedremo se potrà mantenere la promessa.
Quello che è certo è che anche l’Algeria sta entrando in un periodo di effervescenza politica e sociale che rischia di avere delle ripercussioni anche sulla disponibilità degli investitori stranieri ad operare nel Paese che come tutti i Paesi del nord Africa, ha grande bisogno di lavoro per i propri giovani disoccupati, tantissimi ed inquieti, potenziali migranti verso la Francia e l’Europa.