Dovendo fissare due fatti per caratterizzare l’anno appena trascorso l’attenzione va alla controversa elezione del presidente Usa Donald Trump che ha dimostrato al mondo quanto vulnerabile sia il sistema elettorale americano e alla definitiva sconfitta militare dello Stato Islamico (IS) che comunque continua ad impensierire perché riesce a fare ancora proseliti e progetta attentati in vari Paesi.
La presidenza Trump ha compiuto un anno ma è ancora alle prese con problemi di staff testimoniati dai continui licenziamenti e sostituzioni dei membri dell’Amministrazione, che suscitano dubbi sulla sua attendibilità. Il terrorismo rimane incombente per cui il 2018 si presenta pieno di incognite e di problemi nelle relazioni internazionali.
Lo sguardo spazia in tutte le aree di crisi mondiale. Dalla Corea del Nord, dove la crescita nucleare di Kim desta serie preoccupazioni, al Medio Oriente dove si stanno riarticolando i rapporti di potere tra i Paesi del Golfo e l’Iran, fino ad Israele dove per lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme si rischia una nuova intifada. Dalla Russia di Putin, che ha avuto un ruolo determinante nella crisi siriana, fino alla nostra Europa alle prese con la Brexit, ai timori per i “foreign fighter” che tornano a casa pieni di frustrazioni per la sconfitta dello Sato Islamico.
Nella Casa Comune Europea, dove la solidarietà fondante dell’Unione ha perso tutto il suo smalto, rimane poi il problema dei flussi migratori che con la buona stagione riprenderanno a scorrere nel Mediterraneo.
Come si vede un bel pacchetto di preoccupazioni che non mancheranno di rendere problematica la vita dei governanti. Approfondiamo.
La capacità nucleare sino dalla Corea del Nord era considerata un bluff ma dopo gli esperimenti di successo del 2017 è invece una realtà consolidata con la quale gli Usa ed il mondo sono costretti a misurarsi.
Per il regime questa capacità offensiva è fondamentale sia per ragioni di politica interna, il dittatore tiene alla mano il popolo con l’ossessione del paese sotto minaccia, sia per ragioni di politica estera. Il nucleare rimane, dopo l’esperienza di Saddam Hussein e di Gheddafi, la miglior polizza di assicurazione per la sopravvivenza di un dittatore.
Un conflitto con gli Usa non lo si può escludere ma tutti stanno lavorando, Cina e Corea del sud in prima linea, per portare Kim a più miti consigli anche in vista della necessaria risistemazione geopolitica di tutta la penisola coreana.
In Medio Oriente i rischi maggiori sono legati alla contrapposizione Iran-Arabia Saudita e al posizionamento del regime degli ayatollah come potere regionale preminente.
Il confronto si sviluppa su due piani, su quello del controllo e dell’egemonia in tutta l’area del Golfo Persico ma anche su quello religioso nell’ambito del secolare scontro tra sunniti e sciiti che ripetutamente emerge e condiziona le relazioni politiche tra quei popoli.
Questa contrapposizione tra Teheran e Riad si è evidenziata nella crisi siriana e nella campagna militare saudita contro gli Houthi nello Yemen dove i due Paesi sono stati impegnati dietro le quinte di una guerra oggi combattuta solo per procura.
Il presidente siriano Assad, sostenuto dall’Iran, è saldamente al potere mentre tutto il fronte sunnita fino al Golfo vorrebbe eliminarlo. Situazione in preoccupante gestazione.
In Israele assistiamo alla riapertura di un conflitto che appariva sopito dalle campagne contro lo stato islamico. Il presidente Trump con l’appoggio del premier israeliano Netanyahu ha riportato alla ribalta la storica contrapposizione arabo-israeliana.
Oggi però gli Usa non appaiono più come la potenza capace di mediare, sono troppo schierati a favore di Israele. Per questa ragione è forse necessario che l’Europa si faccia avanti per evitare guai peggiori in un’area a noi così vicina e così sensibile anche per la nostra sicurezza di europei. Il riaprirsi della contrapposizione diretta rappresenterebbe una pregiudiziale per la stabilità internazionale forse anche più grave di quanto non lo siano state la crisi siriana e la guerra contro lo stato islamico.
In Russia si respira invece aria di stabilità. Il presidente Putin sarà riconfermato al potere anche perché gode di grande consenso e di personale popolarità presso l’elettorato russo. Non ci sarebbero dubbi al riguardo. Trattandosi poi del suo ultimo mandato ci si aspetta da lui una politica mirata a consolidare la stabilità nella continuità in vista della sua “successione al trono”.
A livello internazionale Vladimir punterà certamente a riportare le relazioni della Russia con il resto del mondo su piani di normalità ottenendo la sospensione delle presenti sanzioni contro il suo Paese.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, la Brexit ha dimostrato che l’Europa non c’è o quanto meno che è pesantemente fratturata. Ha perso la costola britannica ma sono evidenti anche le fratture con la parte est dell’Unione, quella formata dai Paesi di recente adesione, che non sopportano le imposizioni di Bruxelles sui flussi migratori. La Brexit procederà nel suo corso e probabilmente si troveranno accordi passo dopo passo su tutti i dossier economici e procedurali ad un costo conveniente per entrambe le parti. Ma la frattura più grave e destabilizzante per l’UE rimane quella sulle immigrazioni. Se non si raggiungerà un accordo sul trattato di Dublino, da modificare per renderlo meno penalizzante per Italia e Grecia, Paesi di primo approdo, la futura organizzazione dell’Unione post Brexit sarà compromessa.
Oltre ai problemi sulla moneta unica, che permangono gravi poiché non tutti i partner stanno uscendo dalla crisi economica alla stessa maniera, restano sul tappeto anche le questioni connesse con il recente accordo PESCO sulla Difesa Comune che è ancora molto lontano dalla reale costituzione di un vero Esercito Europeo. Liberati dai lacci britannici, i meccanismi comunitari della difesa hanno potuto rimettersi in moto e si è ripartiti, com’era opportuno in un periodo di persistente crisi economica, dall’industria della difesa, oggi troppo pesante, ridondante e condizionata dai singoli interessi nazionali. Un risultato positivo sotto il profilo politico perché il passo compiuto ha evidenziato nei partner una nuova sensibilità verso le minacce alla nostra sicurezza che potrà portare l’Europa a provvedere in autonomia alle sue esigenze di difesa.
Questa la situazione. Gettiamo ora uno sguardo alle valutazioni sulla percezione della situazione internazionale dei cittadini dei sondaggi (ISPI-IPSOS) apparsi in varie versioni sui giornali.
L’opinione pubblica internazionale si appresta a vivere un 2018, dove le preoccupazioni maggiori sono ancora rappresentate dal terrorismo islamico (23%), dai problemi creati dalla Corea del Nord (16%), dalla crisi economica mondiale (12%). Ma cominciano ad emergere preoccupazioni connesse anche con altre problematiche meno presenti sui giornali ma più subdole e suscettibili di portare a gravi conseguenze nel lungo periodo sia sulle condizioni di vita delle popolazioni a livello mondiale sia sulla sicurezza e sulla stabilità internazionale.
Primi tra tutti i cambiamenti climatici per i quali la gente dimostra la stessa preoccupazione (13%) suscitata dalla crisi economica (12%) e dalle disuguaglianze nel mondo (9%) dovute anche a una non equa distribuzione delle risorse.
L’opinione pubblica mondiale si sta rendendo conto che la diseguaglianza nella disponibilità di fonti di vita primarie stritola centinaia di milioni di persone condannate alla povertà e la povertà porta alla conflittualità diffusa che incentiva il terrorismo e i flussi migratori. Si sta affermando nelle valutazioni degli analisti di politica internazionale la convinzione che i governanti avrebbero dovuto comprendere ben prima che il fenomeno deflagrasse, che il terrorismo, la non equa distribuzione delle risorse e i conseguenti flussi migratori, costituiscono un unico problema che deve essere affrontato non in fasi separate ma nella sua integrità, per poterlo efficacemente contrastare. Tutto questo non è stato fatto. Comprendere finalmente questo principio e tenere opportunamente conto di queste nuove sensibilità dei cittadini nell’azione di governo sarà la vera sfida per i responsabili del mondo in carica dal 2018.