Qual è quel paese nel quale gli eventi atmosferici naturali sono causa di disastri con morti e distruzioni e nel quale anziché provvedere a risolvere il problema della prevenzione con interventi concreti ci si continua ad appoggiare alla benemerita opera dei volontari, senza nulla togliere all’indomito lavoro dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile (la cui colonna portante è comunque formata da volontari), delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate per tentare di salvare qualche vita umana e/o ripristinare un minimo di vivibilità nelle zone già colpite dai disastri?
Beh, non c’è neanche da prendere tempo a riflettere per individuarlo, è il nostro Bel Paese.
Solo da noi, infatti, non vengono spesi i fondi stanziati per la prevenzione. I 114 milioni di euro investiti per mettere in sicurezza argini di fiumi, costoni di montagne prossime al tracollo, strutture per il contenimento delle acque in caso di rovesci fuori dal normale, e altri interventi strutturali e di sistemazione del territorio, sono una parte davvero minima di quei quasi 8 miliardi di euro stanziati nel 2014 per il riassetto e la messa in sicurezza del nostro territorio con il provvedimento “Italia Sicura”.
Perché accade ciò? Perché l’Italia è un Paese nel quale uno dei poteri forti è la burocrazia. Ed è ad essa che, al di là delle belle parole e delle prese di posizione dettate da meri fini propagandistici, i partiti politici si appoggiano per mantenere saldo, evitare di perderlo o tentare di conquistare altro potere.
La rete capillare di gestione del potere, che partendo dai vertici nazionali si dipana lungo la dorsale delle Regioni per giungere fino alle Provincie e ai Comuni, con l’aggiunta di una pletora di Enti pubblici alcuni dei quali più o meno inutili ma destinatari di risorse pubbliche, costituisce il sistema politico italiano che, per gestire un potere fine a sé stesso, si premura di percorre la strada esattamente al contrario. Ovvero, è dagli enti locali che inizia la conquista del potere.
Pertanto, non ci deve stupire se leggi, provvedimenti ed interventi assunti ai vertici di qualunque livello, piuttosto che tenere conto delle reali esigenze dei cittadini, della salvaguardia del territorio, degli interessi della Nazione o dell’area geografica di competenza, vengano assunte per favorire il consenso e il conseguente risultato elettorale del momento.
Non ci deve quindi neppure risultare strano se il sindaco di una cittadina siciliana venga sfiduciato e mandato a casa (sotto scorta, peraltro) dalla sua stessa maggioranza per avere ottemperato ad un ordine della Procura della Repubblica e iniziato l’opera di abbattimento a colpi di ruspa delle costruzioni abusive sul suo territorio. Col beneplacito di tutti i partiti politici che, dopo un’apparente alzata di scudi volto solo ad offrire un’immagine positiva del partito sui media, su un problema così grave tacciono.
Intanto, però, l’Assemblea Regionale Siciliana, in vista delle prossime elezioni, prepara una bella sanatoria cosicché, attraverso la fitta rete di burocrati di basso, medio e alto livello, da loro stessi piazzati nei posti chiave, tutto venga regolarizzato e si possa godere dei voti portati da chi aveva violato la legge che, nel frattempo con la sanatoria, ridiventa cittadino esemplare.
Non si pensi che la Sicilia sia un esempio straordinario. Il sistema vige in tutto il Paese.
Cosa fare allora?
Tutelare con provvedimenti concreti chi, con coscienza e dedizione, si adopera per il bene comune, colpendo con sanzioni penali e amministrative chi invece “non vede” che sul proprio territorio le case abusive sorgono sui grembi dei fiumi e dei torrenti, o vengono costruite senza rispettare gli standard di sicurezza, o non vengono spesi i soldi messi a disposizione per mettere in sicurezza bacini e costoni. E non mi riferisco solo agli amministratori pubblici, ma anche ai tecnici che dovrebbero intervenire operativamente e ai burocrati che rallentano o addirittura bloccano i progetti di salvaguardia per inerzia, o peggio ancor per connivenza con le ditte che devono gestire i necessari appalti.
Si dirà: ma le norme ci sono già, e “dopo” che i disastri accadono l’Autorità Giudiziaria solitamente interviene per accertare le responsabilità che, grazie al farraginoso sistema della Giustizia italiana, non rischiano più di tanto visto che se andassimo a contare quanti responsabili delle morti causate dalle catastrofi che hanno colpito il Paese stanno scontando in galera le loro colpe rimarremmo certamente molto delusi.
E se invece di rincorrere le responsabilità dei capri espiatori di turno si intervenisse prima?
Magari processando e condannando chi ha commesso o commette degli abusi in vista di una grazia (altrimenti detta sanatoria) da ripagare con un voto, ed estendendo ad amministratori, burocrati e tecnici lo stesso trattamento dopo averli rimossi dagli incarichi, per l’omesso obbligo di portare a termine o non concludere in precisi ed inderogabili termini temporali quei necessari lavori che salvano vite umane?
E’ il caso di rispolverare i tempi, le corruzioni, gli interessi, la cecità dei responsabili, nel cantiere per la costruzione di quella autostrada della morte che porta il nome di Salerno-Reggio Calabria?
Responsabilità precise, quindi, da attribuire a persone, istituzioni o enti ben individuati (si eviterebbero i soliti palleggi), progetti seri e tecnicamente ineccepibili con tempi prestabiliti ed inderogabili per l’ultimazione dei lavori, responsabilità penali e patrimoniali per chi dilapida risorse pubbliche in lungaggini utili solo a far lievitare i costi.
Evitare le chiacchiere inutili quando si tratta di prevenire i rischi e dotarsi di un sistema snello, efficiente ed efficace per risanare il territorio. Anche così si salvano innocenti vite umane.