Il silenzio dei media è assordante. Non ci interessa più Ebola, è una notizia bruciata.
Per i tecnici, lontani dai rumori e fulgori delle news d’impatto, invece, il fenomeno continua, non solo ad interessare, ma a preoccupare. Ci facciamo delle domande che potrebbero sembrare: Cosa accadrà nella prossima epidemia di Ebola o di simile infezione? Quei Paesi hanno imparato a gestire un’emergenza di questa portata? Abbiamo dato solo qualche pesce o abbiamo insegnato ad usare le lenze per pescare? Ed ancora, finite le morti di massa (ancora qualcuno muore nel pieno disinteresse dell’Occidente), cosa sarà rimasto di fruibile? Che tessuto sociale? Che economia? Quale fragile condizione politica appetibile ai fanatici di turno?
Ebola è stato ed è oggi più che mai un disastro per le economie dei paesi dove si è diffusa maggiormente. L’impatto economico dell’epidemia su Sierra Leone, Guinea e Libera potrebbe essere “catastrofico”, nell’ordine di 800 milioni di dollari. A lanciare l’allarme è la Banca Mondiale. L’epidemia ha azzerato quella minima economia che reggeva a mala pena la sussistenza di questa popolazione. Se non bastasse, la morte si è abbattuta maggiormente sulle fasce produttive. E’ stata decimata la popolazione che era dedita all’agricoltura, risorsa essenziale sulla quale si basa il primo prodotto necessario. Migliaia di orfani non conoscono ancora se avranno mai un futuro. Le compagnie internazionali, che da poco tempo avevano cominciato ad investire, sono letteralmente fuggite. Qualcuno dovrà intervenire. Secondo la Banca Mondiale il fardello sull’economia potrà arrivare nel medio termine, ovvero entro il 2015, a 809 milioni di dollari. Fra questi 439 in Sierra Leone, 228 in Liberia e 142 in Guinea.
Queste però sono solo risposte all’emergenza economica. Il vero problema è che poco si sta facendo, per prevenire altre catastrofi infettivologiche (piani sanitari) ed economiche (conseguenza inevitabile di un’epidemia). Il livello di preparazione dei tecnici locali resta molto basso. La popolazione, anche per motivi culturali, non ha “metabolizzato”l’evento. Negli ultimi due anni siamo stati sommersi dai tavoli di discussione e di pianificazione. Sarebbe il caso che, più ordinatamente, si continuasse a parlare di Ebola, trasformando l’emergenza infezione in emergenza prevenzione. Quei Paesi sono vere e proprie bombe biologiche che non possiamo prevedere quando esploderanno. L’unica cosa che ci resta da fare è disinnescarne qualcuna come, per esempio, educare i bambini al lavaggio delle mani, creare la consapevolezza della potabilità dell’acqua, cercare di far capire l’importanza della cremazione. Sembra che si parli dell’ovvio, ma chi ha vissuto in quelle terre, sa che ciò che è ovvio in Occidente, spesso è un sogno e forse, in qualche caso, ciò è determinato dall’indifferenza di chi quei problemi non li ha.
Mi sento, però, di poter parlare anche ai disinteressati. Attenzione, la globalizzazione ha fatto di questo pianeta una casa molto più piccola e con un’economia “unica”.
Nessuno può sfuggire all’effetto farfalla. Un battito d’ali può provocare un uragano a distanza!
Maria Rita Gismondo
Maria Rita Gismondo dirige l’UOC Microbiologia Clinica, Virologia e Diagnosi delle Bioemergenze del Polo Universitario – Azienda Ospedaliera L. Sacco di Milano, dove insegna la stessa disciplina presso il corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Biologa e medico, ha maturato importanti esperienze in Italia e all’estero, ed ha ricoperto importanti incarichi di esperto in organismi medico-scientifici nazionali ed internazionali per conto del Consiglio dei Ministri italiano e di Autorità estere quali UNICRI, G8 e WHO. Come esperto e team leader ha condotto numerosi progetti internazionali in Africa, Asia ed Est Europa nell’ambito della biosicurezza. Fa parte di numerosi Comitati e Società scientifiche. Consistente la sua attività di produzione scientifica. Impegnata nel sociale, ha fondato la Fondazione Donna Onlus di cui è Presidente.