L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’ictus una malattia caratterizzata da rapida e improvvisa comparsa di sintomi e segni riconducibili a un deficit del linguaggio, della vista e\o della sensibilità e\o del movimento o dell’insieme di tutte queste funzioni cerebrali per una riduzione dell’apporto di sangue a una zona del cervello dovuto a occlusione di un vaso (infarto cerebrale), o alla rottura di un vaso (emorragia intracerebrale). Esiste anche un’altra forma dovuta alla rottura di un aneurisma cerebrale (emorragia sub aracnoidea).
Se questa definizione scientifica può apparire “fredda” per chi di medicina ha poche nozioni, non è da sottovalutare quanto sia importante riconoscere questa patologia ai primi sintomi e intervenire il più in fretta possibile. Il fattore tempo può spesso salvare una vita. Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’ictus è una patologia dovuta alla presenza di diversi fattori di rischio; aver cura della propria salute e mantenere favorevole il livello di tali fattori può evitare o ritardare il manifestarsi di tale malattia.
Secondo uno studio effettuato in Italia, condotto in 16 regioni, si è rivelato come, in generale, il tempo che passa fra il momento in cui il paziente si accorge di avere qualche problema e il momento in cui arriva in ospedale è troppo lungo per garantirgli un’assistenza efficace.
Secondo gli specialisti, per ottenere la massima efficacia dai trattamenti, è consigliabile arrivare in ospedale al massimo entro 60 minuti; come nelle malattie cardiache, anche un solo minuto può fare la differenza. Il trattamento con i farmaci infatti è efficace se eseguito entro 4 ore dall’inizio dai sintomi. Gli specialisti della Stroke Unit dell’ospedale di Perugia con la collaborazione dell’Ars (Associazione Ricerca Stroke) stanno promuovendo la campagna di sensibilizzazione RAPIDO. L’obiettivo è quello di perseguire e distinguere tempestivamente i sintomi per poi comunicarli al 118 e ai medici delle emergenze per un’assistenza in loco e permettere così l’identificazione della struttura ospedaliera più adatta, una Stroke Unit, dove trasferire il paziente per fornirgli le migliori terapie possibili.
Tra i fattori per riconoscere questa patologia, alcuni di questi non sono modificabili come il sesso maschile, la familiarità e l’età avanzata, ma la gran parte lo sono come l’abitudine al fumo, l’ipertensione arteriosa, l’alto livello di colesterolo o la presenza di diabete non correttamente gestito. L’Istituto Superiore di Sanità fornisce alcuni consigli per prevenire o almeno ridurne gli effetti spesso letali, primo fra tutti un’alimentazione varia e bilanciata, ricca di frutta e verdura, cereali e legumi, pesce e povera di grassi saturi come quelli di origine animale, povera di sale e di colesterolo. Importante è poi svolgere quotidianamente un’attività fisica regolare, abolendo il fumo e l’eccessivo consumo di alcol. Intervenire sui fattori di rischio attraverso lo stile di vita corretto e, se prescritti dal medico, aggiungendo alcuni farmaci, è il modo migliore per mettersi al riparo dall’ictus.
L’Italia è un Paese che grazie alle sue caratteristiche e al livello medio dei fattori di rischio nella sua popolazione, viene considerato a “basso rischio” coronarico, ma ad alto rischio cerebrovascolare. Questo fatto è in parte dovuto all’invecchiamento della popolazione (quanto a longevità l’Italia è seconda solo al Giappone), in parte alle caratteristiche della nostra alimentazione. Se è vero infatti che l’alimentazione mediterranea, ricca di verdura e frutta, cereali e legumi e povera di grassi di origine animale, protegge da molte patologie, è anche vero che alcune sue caratteristiche non sono così benefiche: l’elevato consumo di sale, in media 10 g negli uomini e 8 g nelle donne adulte, a fronte dei 5 g raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il consumo di olio extravergine di oliva e di vino, che se da una parte sono benefici per la nostra alimentazione, dall’altra sono i nutrienti più ricchi di calorie.