Da diversi anni vengono regolarmente utilizzati nella pratica clinica i cosiddetti farmaci generici od equivalenti. Vi sarà capitato di dover rispondere alla domanda del farmacista: generico o ‘di marca’? Ma qual è la differenza, sempre che ci sia? E quali soprattutto gli effetti sulla nostra salute?
Oramai vengono prodotti farmaci equivalenti appartenenti a diverse gamme di linee terapeutiche, dall’analgesia ai chemioterapici. Il farmaco equivalente, e su questo c’è accordo, costa meno, ed è perciò tendenzialmente preferito dal Sistema Sanitario Nazionale e da molti pazienti. Dietro la convenienza economica si cela una ragione pragmatica. Infatti le aziende farmaceutiche, solitamente redditizie, devono recuperare gli ingentissimi investimenti in ricerca e sviluppo – che hanno portato alla creazione e commercializzazione di quella ed altre molecole – e fissano il prezzo del prodotto considerando il valore attribuito ad esso, il rischio di vari buchi nell’acqua, vi assicuro frequentissimi in ricerca clinica, la competizione e così via. Se sviluppo un farmaco posso ricavarne profitto per la durata del suo brevetto, solitamente una decina d’anni, dopo di che la legge non mi tutela più ed un’altra azienda può copiarlo.
Dire che le aziende farmaceutiche ‘se ne approfittano’ è superficiale ed anche un po’ stupido, poiché una visione leggermente più ampia consente di dimostrare che il progresso, compreso quello medico che salva numerose vite, è essenzialmente privato e si basa sulla sostenibilità della ricerca. Le istituzioni pubbliche, raramente efficienti ed efficaci, si basano infatti sui finanziamenti esterni, diciamo sulla carità, che ha evidentemente un senso nella misura in cui si fa ricerca, e la si fa bene, in quei domini che non hanno molto mercato, tipicamente le malattie rare o la ricerca di base. La ricerca farmaceutica invece si autosostiene con circolo virtuoso di profitto e reinvestimento. Meno profitti uguale meno reinvestimenti, cioè meno progressi e meno vite salvate. C’è qualche eccezione alla regola, gli errori capitano ma le agenzie regolatrici della verifica dell’efficacia dei farmaci, costituenti un passaggio obbligato nella commercializzazione di un farmaco, sono estremamente rigorose proprio per evitare gravi conseguenze.
Al di là delle considerazioni per così dire sistemiche i farmaci equivalenti funzionano in maniera equivalente? Probabilmente sì. Ma che razza di risposta è ‘probabilmente sì’? la verità è che quel probabilmente è la più accurata risposta possibile. La colossale differenza è che mentre la marca che sviluppa per prima un farmaco deve dimostrare la sua efficacia clinica, in definitiva l’effetto sul paziente, l’azienda che copia il suddetto prodotto alla scadenza del brevetto deve solo dimostrare la sua bioequivalenza. In pratica copio quel farmaco mettendoci il medesimo principio attivo, la molecola madre che è quella che dà l’effetto desiderato, mescolandola con eccipienti e stabilizzatori vari, comunque diversi dal farmaco originale il che pone talvolta dubbi sulla effettiva stabilità ed assorbimento della stessa, e tutto quello che devo fare è dimostrare che in un set di pazienti le concentrazioni raggiunte nei campioni (tipicamente matrici biologiche come il sangue) siano comparabili al brand. Perciò l’azienda che produce generici salta il processo della verifica dell’efficacia clinica, che guarda a caso è estremamente costoso. Si assume che il principio attivo sia sufficiente a garantire l’equivalenza clinica, senza che essa sia testata. Per questo in sostanza costano meno.
E’ vero che i farmaci equivalenti sono una potenziale risorsa per la salute pubblica, ma è pur vero che rallentano il progresso medico con la promessa di una sanità più sostenibile.
Fabio Villa
Nato a Monza nel 1986 e si è laureato in medicina col massimo dei voti presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
Durante gli studi si dedica ad attività di volontariato in Italia ed all’estero (India, Nepal, Mali, Rwanda, Brasile, Cambogia).
Dopo tre anni di formazione chirurgica nel dominio cardiovascolare, ed un master in economia che l’ha portato in università quali Harvard e Fletcher, si è trasferito a Ginevra, ove si dedica all’esercizio della Psichiatria e Psicoterapia ed in parallelo a svariati progetti.
Vanta prestigiose pubblicazioni sulle più autorevoli riviste scientifiche, tra cui The New England Journal of Medicine.
Si dedica inoltre alla filosofia delle scienze ed alla storia delle religioni. Nell’aprile 2014 pubblica il libro Il Placebo. Viaggio nell’Idea di Dio (Aracne) nella collana Atene e Gerusalemme diretta da Giuseppe Girgenti, professore di Filosofia Antica ed allievo di Giovanni Reale.