Solo un mese fa l’OMS ha dichiarato chiusa l’allerta Ebola. Respiro di sollievo, almeno per i non addetti ai lavori. Noi che consideriamo l’ emergenza la nostra routine, sappiamo che è solo cominciata l’attesa di un altro evento epidemico. Questo che per il pubblico è un periodo di silenzio, per noi è di gran lavoro. Si sta cercando di utilizzare e non disperdere l’esperienza acquisita. Si stanno organizzando corsi di addestramento “in loco”, dove sappiamo che Ebola tornerà, come è avvenuto nell’ultimo secolo. Si lavora perché si possa essere sempre più pronti, alleviando l’impatto mortale.
Non è facile. La paura ci ha, in un certo senso, aiutati. Purtuttavia le culture locali non sono facili da gestire. Un esempio per tutti, la sepoltura dei morti. Questo è stato il punto debole della catena preventiva. Per credenze locali, i morti si lavano, si ungono con olii. In un villaggio della Liberia, addirittura i parenti bevono il sangue del defunto.
Solo l’evidente contagio e morte degli infetti ha convinto la popolazione ad interrompere queste pratiche tribali. Interrompere…non abbandonare. La paura di Ebola ha portato a reazioni estreme. Interi ospedali bruciati per paura che i virus fossero ancora presenti.
In questo scenario ancora molto impegnativo, certo non ci mancava un’altra allerta. Non paragonabile per tipologia di infezione e conseguenze, ma molto temibile perché interessa la sfera neonatale.
All’inizio dell’anno, su giornali brasiliani, è apparsa la notizia che la casistica di Zika virus fosse in tragico aumento e, per di più, pare provochi microcefalia del nascituro. Tale constatazione ha persino indotto all’invito alle donne, da parte di qualche governo dell’America Latina, a non fare figli.
Cosa succede? Facciamo chiarezza. Zyka è un virus che si trasmette esclusivamente utilizzando un vettore, la zanzara Aedes Egypti. Prima doverosa precisazione. Nei Paesi dove tale zanzara non è presente (Europa), non c’è alcun pericolo di contagio. I casi detti erroneamente “italiani”, “tedeschi”, “inglesi”, sono di viaggiatori che hanno contratto l’infezione nei Paesi dove esiste la zanzara e poi hanno sviluppato la malattia, rientrando a casa.
Per quanto riguarda l’effetto microcefalia. Certamente la casistica fa riflettere. Oggi si parla di circa 5000, forse 6000 casi. Ma le domande che sorgono sono legittime. Perché questi casi si manifestano solo in America Latina e non in altri Paesi dove esiste tale infezione? E’ stata individuata una mutazione del virus ?
Sono domande che esigono una risposta. Certo non esiste un vaccino ed è legittimo chiedersi cosa fare per prevenire l’infezione. L’unica possibilità è evitare che la zanzara, se ci rechiamo in quelle zone, ci punga. Quindi è d’obbligo l’uso di insettorepellenti, da spruzzare sul corpo e sui vestiti (Collo e caviglie compresi!).
Le donne che sono gravide o che pensano di esserlo, farebbero bene ad evitare di recarsi nelle zone colpite.
Nel caso comunque, in gravidanza, una donna dovesse recarsi nelle aree endemiche, bisogna applicare un protocollo che è stato diramato da diversi Ministeri della Salute, compreso il nostro. La donna deve sottoporsi ad ecografia e test immunologico (prelievo di sangue per individuare la presenza di eventuali anticorpi).
E se la zanzara dovesse arrivare in Europa? Non vedo l’evento impossibile. E’ l’effetto del cambiamento climatico. E chi adesso si meraviglia, è un ipocrita! Dobbiamo rassegnarci a fronteggiare molto peggio, malaria compresa.
Maria RitaGismondo
Maria Rita Gismondo dirige l’UOC Microbiologia Clinica, Virologia e Diagnosi delle Bioemergenze del Polo Universitario – Azienda Ospedaliera L. Sacco di Milano, dove insegna la stessa disciplina presso il corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Biologa e medico, ha maturato importanti esperienze in Italia e all’estero, ed ha ricoperto importanti incarichi di esperto in organismi medico-scientifici nazionali ed internazionali per conto del Consiglio dei Ministri italiano e di Autorità estere quali UNICRI, G8 e WHO. Come esperto e team leader ha condotto numerosi progetti internazionali in Africa, Asia ed Est Europa nell’ambito della biosicurezza. Fa parte di numerosi Comitati e Società scientifiche. Consistente la sua attività di produzione scientifica. Impegnata nel sociale, ha fondato la Fondazione Donna Onlus di cui è Presidente.