Nella scorsa puntata abbiamo illustrato la teoria filogenetica del cervello mediante due modelli straordinari: l’ansia patologica ed il sentimento amoroso. Proseguendo su questa falsa riga, con l’ausilio dei correlati neurobiologici della malattia mentale o di condizioni fisiologiche, continuiamo a sviluppare la relazione tra emozioni arcaiche ed astrazione delle stesse, addentrandoci ancor più nell’universo neuroscientifico.
Derive sociali
Esistono derive sociali dell’istinto, comportamenti che si divincolano totalmente dal loro ruolo evolutivo, tant’è vero che qualcuno può provare piacere sessuale facendosi frustare o leccando il tacco di una scarpa. Sono condizioni dette parafilie, che non necessariamente patologiche a meno che il paziente non provi disagio, non metta in pericolo nessuno e nemmeno leda la libertà altrui. Pensiamo però se tutti fossero esclusivamente parafilici e nessuno procreasse più: per un po’ si risolverebbero i problemi del sovraffollamento e delle risorse, ma poi il genere umano si estinguerebbe. Intendo dire che i comportamenti disfunzionali, in uno sguardo d’insieme, sono destinati a cessare, poiché non soddisfano la ragione stessa della vita, la trasmissione di sé. Questo non significa che scompariranno del tutto, il che dipende da numerosi fattori, ma certamente che tenderanno a sparire divenendo sempre più sporadici. È doveroso che chi attua tali comportamenti, sovente in maniera indipendente dalla volontà, e specialmente chi per questo prova disagio, venga accolto empaticamente e mai giudicato. De gustibus… Tuttavia questa è innegabile storia della biologia, lungi dalla relazione identitaria con l’etica, che per me la trascende ed in certi casi la smentisce. Appunto i metodi di procreazione odierni prevaricano l’atto eterosessuale standardizzato, il che concede molto più spazio all’anormalità statistica. L’amore, l’empatia, la carità sono sviluppi corticali del limbico, e favoriscono le interazioni sociali proficue alla continuazione della specie.
Riduzionismo e realtà
Riduzionismo? Non esattamente. L’emozione scientificamente definita non è la sua esperienza mentale, squisitamente soggettiva e non assimilabile alle molecole immagazzinate e rilasciate, ma giustificabile e sondabile grazie ad esse. La funzione emotiva non è il sentimento, non è la creatività né la sensibilità. Ma se scannerizziamo il cervello con le sempre più sofisticate indagini strumentali per saggiarne il metabolismo, quali risonanza magnetica funzionale e tomografia ad emissione di positroni, vediamo che si attivano certe aree cerebrali.
Sul crinale storicistico-fenomenologico, tutto germanico, salvo i conseguenti germogli francesi, creato da Husserl, Dilthey e poi Jaspers ed Heidegger, non stiamo negando la persona a favore di un ammasso d’organi, ma spiegando essa ed i processi che la governano con grande onestà intellettuale, e senza sterile moralismo. Nella lingua germanica, come ben illustrato da Edith Stein ne Il Problema dell’Empatia, concezione enfatizzata dallo stesso Husserl, è netta la distinzione tra (physischer) Körper, che fa riferimento alla fisicità, e Leib, il corpo dotato di sensibilità ed incubatore di un Io pensante, in relazione etimologica con Leben, vita, e Liebe, amore.
Io dico che una persona è affetta da Depressione Maggiore Ricorrente, non che è una Depressione Maggiore Ricorrente, come spesso capita nei reparti per immediatezza comunicativa. Lo squilibrio serotonin-dopaminergico non è la Depressione, né la grande sofferenza di chi la esperisce. Il meccanismo top-down che fisiologicamente favorisce la processazione degli stimoli positivi, e disfacilita quella degli stimoli negativi, una sorta di distrattore che coinvolge corteccia cingolata e amigdala, non riduce ma descrive la distorsione cognitiva che avviene durante la fase critica. Il paziente interpreta la realtà circostante come avversa a sé, incolpandosi irragionevolmente di avvenimenti indipendenti dal suo operato. Cioè chiedendo ad un paziente con una vera Depressione clinica, che non è una demoralizzazione come spiegherò tra poche righe, di attribuire un valore binomiale: positivo o negativo a parole che compaiono in uno schermo neutro, vedremo che l’attribuzione negativa a parole quali morte, sangue… è veloce, mentre quella positiva a parole come amore, felicità, è patologicamente compromessa rispetto al controllo sano (il paziente senza Depressione).
Inoltre dando un farmaco che aumenta il tono serotoninergico il paziente responder esce dall’episodio più velocemente e meglio di quanto non avverrebbe spontaneamente secondo la periodicità intrinseca dei Disturbi dell’Umore, riducendone ricorrenza e gravità, se non eliminandola. Questo è documentabile fotografando dinamicamente il cervello: la somministrazione modifica l’attività cerebrale patologica. Ad esempio l’amigdala iperattiva si spegne e torna ad un livello metabolico basale. Ciò non ha nulla a che fare col calvario del paziente, spesso incompreso ed esortato a reagire quando il suo cervello non ne ha le facoltà. Diremmo forse che un malato di Parkinson presenta il caratteristico tremore perché ‘non reagisce’? Come si affronta la malattia è tutt’altra cosa, e sicuramente un contesto ambientale spronante oltre che accogliente è necessario.
Sintomo tra disfunzione e stimolo, psichiatria e psicologia
Il modello biologico è una semplificazione induttiva, esattamente come lo è stata la psicologia jaspersiana: malgrado la presunzione di ridimensionare la categorizzazione semeiologica di fatto ne utilizzò una di altro tipo associando al sintomo un valore simbolico. Non è sbagliato, ma va considerato una codifica sinottica della realtà, che non mira – come del resto la biologia – a svalutare l’unicità della persona e della sua esperienza.
Prima di Jaspers la visione tecnicistico-scientista, proveniente da un’esasperazione del positivismo comtiano ottocentesco, dell’uomo come groviglio di viscere costituiva un serio rischio. In tale contesto l’attribuzione simbolica del sintomo non rappresenta una retrocessione rispetto alla teoria della disfunzione, quanto più una riaffermazione del potere del vissuto, ovvero della personalità.
Diciamo solo che in psichiatria il sintomo parte dalla disfunzione, che ne caratterizza il sostrato biologico sine qua non, e poi la cognitività ci costruisce un castello simbolico, che può essere indagato e ridimensionato dalla psicologia una volta che col farmaco si sono ripristinate le condizioni organiche necessarie ad una ripresa. Non solo pillole, ma sono efficaci terapia della luce o deprivazione di sonno, ed indolori e moderne metodiche di neurostimolazione fisica, tutte atte al viraggio della neurotrasmissione timica verso un range fisiologico. Il paziente congruamente informato può decidere di sottoporvisi, se non è delirante.
Il ruolo della psicologia è fondamentale se è presente in comorbidità un disagio, o una struttura caratteriale problematica, che si distinguono nettamente dai fenomeni psicopatologici, alieni rispetto all’attività psichica unitaria del soggetto. Proprio il fenomeno psicopatologico è preso in esame e curato biologicamente dalla psichiatria, senza trascurarne le implicazioni olistiche. Può esserlo ad esempio un delirio. Ricordo di un paziente durante una fase maniacale che mi disse, serio: «Vede Dottore, io sono un prescelto da Dio e ne porto i segni sul mio corpo: Padre Pio aveva le stigmate, io ho i calli!».
Al di là del fatto che il deragliamento dal binario di realtà di talune manie deliranti sovente non raggiunge, differentemente dalla Schizofrenia e dal Disturbo Delirante, una completa adesione a causa del deficit attentivo e perciò della distraibilità, esso è identificabile come elemento estraneo, anomalo rispetto al solito. Lo è chiaramente dagli altri, non dal soggetto che lo vive la cui critica è ridotta o nulla.
Invece pensiero magico, stranezza comportamentale ed eccentricità possono essere inclusi in quello che si configura come Disturbo di Personalità Schizotipico, nell’attività psichica propria del soggetto, e costituiscono ‘disturbo’ solo se vissuti con disagio. Dopotutto la normalità in termini personologici non esiste se non nella statistica, ed è perciò possibile che l’isolamento ed il malessere provenienti dalla diversità possano essere un problema per chi le vive. Non è detto, ad esempio nel Disturbo di Personalità Schizoide (sempre secondo il manuale DSM-IV, in radicale cambiamento in questi anni) si verifica un ritiro sociale del tutto egosintonico: l’individuo non è interessato alle relazioni.
Quindi la psichiatria si occupa dei fenomeni psicopatologici (deflessione patologica dell’umore, delirio, ansia patologica…) mentre la psicologia si occupa del vissuto e della personalità del paziente. Provocatoriamente si può asserire che la psichiatria non si occupa di anormalità, che è un concetto statistico di popolazione e dunque pertinente alla psicologia, ma di patologie oggettivabili. Talvolta i campi si sovrappongono, come è il caso dello Schizotipico che diventa Schizofrenico, essendoci una relazione oltre che ambientale genetica. Oppure nel caso del paziente Border line. Esso si distingue per agìti per lo più autoaggressivi e condotte parasuicidarie o talvolta suicidarie, in conseguenza alla demoralizzazione ‘da diversità’ e da intolleranza alle frustrazioni, di cui la principale è l’abbandono. Ebbene i pazienti border hanno una suscettibilità aumentata per lo sviluppo di Depressione. Parlo della Depressione vera, che non è tristezza per qualcosa che di brutto è capitato (definita demoralizzazione, fisiologica), ma un fenomeno qualitativamente più che quantitativamente diverso. Il depresso esperisce dolore morale, male di vivere, nemmeno paragonabile ad una tristezza pur intensa. E lo fa anche senza che un evento negativo si sia verificato, il quale tuttavia può anche rappresentare motivo di esacerbazione dei sintomi. S’incolpa d’improvviso di fatti indipendenti dal suo operato, è convinto che tutto il suo mondo stia crollando inesorabilmente senza possibilità di intervento. Il depresso non ha futuro, ma solo una commistione di passato e presente calata nel dolore. La morte, talora cercata attivamente, diviene l’unica via di scampo. E ciò non toglie che un demoralizzato non depresso tenti il suicidio, cosa anzi frequente, ma lo fa con cognizione di causa, ed è perciò padrone a differenza del depresso delle sue azioni.
Anche il paziente border line ha al neuroimaging delle alterazioni non dissimili da quelle del depresso, come ad esempio una iper-responsività agli stimoli negativi, che si riscontra leggendo parole come ‘omicidio’ nel tubo della risonanza funzionale, rispetto al soggetto controllo non affetto.
Non è un caso infatti che gli schizotipici si ammalino di più di Schizofrenia, così come i pazienti border di Depressione, rispetto alla popolazione generale. Questo perché l’epigenetica, il cambiamento morfofunzionale di un DNA preesistente, espresso in differente modo in base alle modificazioni cui va incontro per stimoli ambientali, insomma per vissuto, può essere tanto forte quanto la genetica. Quest’ultima può far ereditare al paziente che svilupperà Depressione il gene mutato codificante per il trasportatore della serotonina, e quando ciò accade il vissuto ha impatto inferiore: il fenomeno psicopatologico si manifesterà anche in assenza di condizioni favorenti.
Alcune modificazioni epigenetiche insomma sono la brutta copia di quelle genetiche, e ne condividono a certi livelli l’espressione fenotipica. Il confine diviene molto più sfumato e viene riportato alla sua dimensione semplicistica di organizzazione utile della conoscenza: la nosografia, in continuo divenire. Il punto è che nel disagio psicologico il paziente ha coscienza, nel fenomeno psicopatologico – ansia a parte – questo non avviene. Di qui il tema della responsabilità, non quella di controllare degli impulsi aggressivi, sovente insopprimibili, ma di chiedere aiuto perché ciò avvenga, cosa che né il depresso né lo schizofrenico possono fare. La responsabilità dipende dall’Einsicht (o Insight), dalla capacità critica.
Pensiero di Pensiero
Se per la dottrina metafisica di Aristotele il dio è pensiero di pensiero diviene chiaro come, cristianamente trasposta, il dio e l’uomo proprio nel pensiero coincidano. L’attività cognitiva, nucleo dell’Io dalla filosofia di Cartesio, per cui essa stessa forniva la garanzia della propria integrità, e della non sussistenza di ipotesi dell’inganno ontologico di un fatidico genio maligno, trova nelle Neuroscienze occasione di autocontemplazione e scoperta. Non esiste precedente evolutivo del pensiero che pensa e per giunta studia se stesso, cioè del pensiero di pensiero. Le Neuroscienze cognitive rappresentano in questo contesto l’attività più sacra, la più prossima al dio, nella sua figurazione personalista, dunque tendenzialmente teista e contraddistinta da rivelazione, trascendenza, volontà divina, ma nondimeno nella concezione deista. Invero il Principio compositivo architettonico o Logos spermatikos, insito nella Natura ed artefice di un benefico entelechico divenire verso l’Assoluto, troverebbe nell’attività speculativa estatica la Sua massima espressione. I nostri neuroni superano i propri apparenti vincoli fisici, e sembrano suggerirsi il motivo dell’irresistibile tensione dell’uomo alla Volta stellata. Delirio mistico o Scienza pura? A voi la risposta.
Fabio Villa
Nato a Monza nel 1986 e si è laureato in medicina col massimo dei voti presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
Durante gli studi si dedica ad attività di volontariato in Italia ed all’estero (India, Nepal, Mali, Rwanda, Brasile, Cambogia).
Dopo tre anni di formazione chirurgica nel dominio cardiovascolare, ed un master in economia che l’ha portato in università quali Harvard e Fletcher, si è trasferito a Ginevra, ove si dedica all’esercizio della Psichiatria e Psicoterapia ed in parallelo a svariati progetti.
Vanta prestigiose pubblicazioni sulle più autorevoli riviste scientifiche, tra cui The New England Journal of Medicine.
Si dedica inoltre alla filosofia delle scienze ed alla storia delle religioni. Nell’aprile 2014 pubblica il libro Il Placebo. Viaggio nell’Idea di Dio (Aracne) nella collana Atene e Gerusalemme diretta da Giuseppe Girgenti, professore di Filosofia Antica ed allievo di Giovanni Reale.