A volte capita. Capita a tutti, prima o poi, di trovarsi ad avere bisogno di un accertamento medico. E allora ci si ritrova a rincorrere una prenotazione che, il più delle volte, dopo l’iniziale ilarità suscitata dall’annuncio dell’addetto di turno circa i tempi d’attesa, si trasforma nel brevissimo tempo in delusione, poi in rabbia e infine in frustrazione che, nell’impossibilità di cambiare un intero sistema, sfocia nella rassegnazione.
Mi è infatti capitato di sentirmi dire, a Milano, che per una prestazione sanitaria in ospedale il tempo d’attesa era di un anno. Mentre per una risonanza magnetica mi si poteva fissare un appuntamento a distanza di quattro mesi. Tempo quest’ultimo sicuramente non breve che, però, poteva essere accorciato usufruendo del nuovo servizio a pagamento adottato da alcuni Ospedali chiamato Solvenza Sociale. Costo della visita 162 euro. Tempo d’attesa una settimana circa. Decidendo di rivolgersi ad una struttura privata convenzionata, mantenendo una settimana circa per la prenotazione, il costo della prestazione scende a150 euro, ridotti a 99 euro se in possesso di una prescrizione medica.
E qui ci sarebbe già motivo di aprire un dibattito per ricercare le vere motivazioni che portano una struttura pubblica a costare più di una privata alla quale bisogna obbligatoriamente rivolgersi per usufruire di un servizio che la struttura pubblica, per la quale paghiamo le tasse, dovrebbe garantire almeno tanto quanto quella privata che, seppure beneficiaria dei contributi regionali per la prestazione, affronta gli altri costi da sola e offre un servizio ad un prezzo inferiore.
Capita anche che della struttura pubblica non se ne possa fare a meno. Come mi è accaduto qualche giorno fa quando, a Palermo, insieme alla mia compagna siamo stati travolti da un’auto mentre attraversavamo la strada sulle strisce pedonali. Corsa in ambulanza al Pronto Soccorso di uno dei maggiori nosocomi della città e nottata trascorsa tra visite, accertamenti, analisi e quant’altro necessario a scongiurare danni maggiori rispetto quelli che inizialmente si temevano.
Nulla da eccepire sulla professionalità del personale medico e paramedico, sia in ambulanza che al Pronto Soccorso, ma…
Durante le quasi otto ore di permanenza in Pronto Soccorso ho assistito ad un andirivieni di personale non medico-sanitario dalle sale di medicazione. Guardie Giurate e personale delle pulizie aprivano le porte e vi si introducevano per dialogare con il personale sanitario incuranti del fatto che erano in corso visite mediche.
Durante la visita alla quale siamo stati sottoposti, infatti, l’addetto alle pulizie vuotava cestini e puliva scrivanie e bagno. Ma quando alla mia compagna è stato chiesto di abbassare i pantaloni per una iniezione antidolorifica intramuscolo, mentre l’uomo delle pulizie continuava imperterrito a girarci intorno con i suoi spruzzini e i sacchetti della spazzatura da sostituire, nonostante il mio stato di sofferenza sono intervenuto con il medico chiedendo se tutto ciò fosse normale. Il «no» secco del medico, ed il suo susseguente imbarazzo con il quale ha disposto che l’uomo delle pulizie fosse «rinchiuso» in bagno almeno durante la puntura, la dicono lunga sul rispetto che alcune strutture pubbliche hanno nei confronti dei pazienti.
Imbarazzo dovuto al fatto di trovarsi di fronte un giornalista che si era qualificato come tale? A nulla valgono le tardive scuse del medico, perché non è «quel» medico che ha sbagliato ma chi gestisce e dirige quella struttura che, di quanto accade nella «sua» struttura, nulla sa o niente gliene importa.
Anche parlare di “struttura” non è del tutto corretto, visto che il fenomeno è presente da nord a sud in tante altre strutture pubbliche. Dai pazienti lasciati per giorni sulle barelle dei Pronto Soccorso, medicati in promiscuità e garantiti dai parenti (quando ci sono) a Napoli o a Roma, se ne parla continuamente nei telegiornali.
Delle mammografie e colposcopie effettuate mentre le porte delle sale vengono continuamente aperte e richiuse offrendo alla bella vista delle persone in attesa nei corridoi le pazienti durante le visite ce ne sono anche a Milano.
E quindi, parlare di strutture pubbliche in generale e non di quella in particolare è d’obbligo, perché il fenomeno della totale assenza di rispetto per la dignità del malato è un fenomeno diffuso in tutto il Paese.
La focalizzazione di medici e paramedici è totalmente rivolta all’aspetto sanitario, alla malattia, e non alla persona. La persona umana non è considerata tale. Quindi, la privacy e l’intimità di una persona, se si tratta di un malato o di una persona in stato di bisogno o sofferente non conta. La sua dignità personale non è minimamente presa in considerazione.
Forse c’è qualcosa che non va. Abbiamo smarrito il senso della vita, il senso dell’umanità che deve accompagnare ognuno di noi in ogni azione quotidiana, e tanto più per i sanitari che trattano in massima parte con persone in condizioni di sofferenza fisica e psicologica. E se non dovesse bastare la coscienza di medici e dirigenti, allora tocca alle autorità ricordarlo loro e, quando necessario, imporlo.