La Camera ha definitivamente approvato la legge sulle cosiddette “unioni civili”, ossia una sorta di “matrimonio” tra persone dello stesso sesso, sebbene non vi sia stata una formale equiparazione come avvenuto in altri paesi europei. La legge introduce altresì una disciplina molto più soft sulle convivenze di fatto, che riguarda anche persone di sesso diverso. Naturalmente il tema è spinoso e ha comprensibilmente sollevato critiche di matrice opposta. Da un lato, con il mondo cattolico in primis, si contestano duramente le unioni civili, che sarebbero frutto di un artifizio per non ammettere l’introduzione nel nostro ordinamento del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Dall’altro lato, c’è il disappunto per la mancata “formale” e “totale” equiparazione al matrimonio, oppure per la mancata previsione della possibilità dell’adozione dei minori per le persone dello stesso sesso, la cui decisione viene rimandata ai Giudici che dovranno valutare le singole situazioni concrete.In realtà, a modesto parere di chi scrive, la legge appare una “sintesi”, se non una “mediazione”, tra le diverse posizioni.
In questa sede, tuttavia, proviamo ad esprimere un commento tecnico, lasciando al lettore la libertà di giudizio morale, religioso e/o sociale.
Il primo dato che emerge è la differente intensità di disciplina tra unioni civili, intese quale “vincolo” tra persone dello stesso sesso, e convivenze di fatto.
Questo perché la disciplina sulle unioni civili intende tutelare una “formazione sociale” composta da persone dello stesso sesso, che in Italia non possono legalmente sposarsi tra loro.
Cosa che invece possono scegliere di fare o meno i conviventi di fatto, i quali possono optare per il matrimonio o per l’unione civile se vogliono un vincolo giuridico più intenso.
Infatti, mentre nella convivenza di fatto è lasciata alle parti ampia libertà di autoregolamentare il proprio rapporto, per le unioni civili viene delineata una disciplina specifica, di cui indichiamo gli aspetti principali:
costituzione dell’unione civile davanti all’Ufficiale di stato civile e due testimoni, sempre che una delle due parti non sia già sposata o non abbia già un’altra unione civile;
presunzione di comunione dei beni tra le parti, in assenza di diversa dichiarazione, come avviene per il matrimonio;
possibilità di “divorziare” in tre mesi, senza la separazione ma solo con una manifestazione di volontà all’Ufficiale di stato civile seguita dopo almeno tre mesi dalla domanda effettiva di scioglimento; la parte più debole economicamente avrà diritto ad un contributo al mantenimento;
dall’unione conseguono i diritti successori come nel matrimonio, oltre al diritto di percepire la pensione di reversibilità. Consegue altresì il diritto all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione, al mantenimento, al cognome comune, ad un’unica residenza. Non c’è però l’obbligo di fedeltà, che ha suscitato qualche polemica;
resta escluso il diritto all’adozione tra persone dello stesso sesso.
E’ evidente quindi come le differenze con il matrimonio siano ben poche. Annoveriamo principalmente l’assenza dell’obbligo di fedeltà e il mancato espresso riconoscimento del diritto all’adozione.
Per quanto riguarda invece le convivenze di fatto, e quindi anche tra persone di sesso diverso, è stata introdotta una disciplina molto più leggera, che lascia ai conviventi ampia libertà di regolamentare i propri rapporti economici, introducendo però importanti diritti, specie nei casi di delicate scelte personali in caso di malattia dell’altro convivente:
diritto di assistenza morale e materiale e di vivere nella casa di proprietà del convivente deceduto, ma solo per i due o massimo cinque anni successivi al decesso, sempre sino che il superstite non abbia già iniziato una nuova convivenza, un matrimonio o un’unione civile;
diritto di subentrare nel contratto di locazione intestato all’altro convivente;
diritto di visitare il convivente in caso di malattia e ricovero, di accedere alle informazioni mediche;
diritto di essere designato come rappresentante dell’altro convivente per decisioni che riguardano la salute e la donazione di organi in caso di morte.
diritto di visita in carcere;
diritto al risarcimento del danno del superstite in caso di morte del convivente da fatto illecito altrui;
possibilità di sottoscrivere un “contratto di convivenza” per regolare i rapporti economici, ossia quali per esempio il diritto all’assegno di mantenimento, la divisione degli utili dell’impresa, ecc.
non sono previsti diritti di successione né alla reversibilità della pensione del convivente.
Come si vede le due discipline sono molto diverse tra loro.
Rimane una prevalenza del matrimonio e delle unioni civili rispetto alla convivenza di fatto.
Si pensi infatti che, per “garantire un’effettiva tutela dei diritti introdotti”, viene disposto che leggi, regolamenti, atti amministrativi recanti la parola “coniuge” possano essere applicati anche a ciascuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Sarebbe quindi esclusa tale equiparazione in campo penale, per cui non sussisterebbe il reato di bigamia qualora una persona costituisse due unioni civili.
Ebbene, da un punto di vista giuridico si apriranno una serie di problemi interpretativi che in questa sede possiamo solo immaginare, ma forse è il normale prezzo da pagare per l’introduzione di una legge su un tema così delicato.
Appare invece interessante per le convivenze di fatto la possibilità di stipulare il contratto di convivenza (meglio con la consulenza di un professionista), in modo da concordare liberamente la disciplina dei rapporti economici nella coppia, durante ed (eventualmente) dopo la convivenza.