Continua a piovere, la pioggia è un ottimo pretesto per chiudersi in casa, spegnere il cellulare e riprendere la lettura da dove avevo smesso. Non ricordo se ero a pagina 110 o a quella successiva, il segnalibro si è dileguato o forse e in un altro libro iniziato e non ancora finito. Cosa importa, apro una pagina a caso, mi pare di averla già letta. Il chiuso mi opprime, apro e chiudo la finestra, fuori non solo piove ma fa freddo, la televisione dice che da qualche parte al nord ha nevicato. Devo ultimare il nuovo libro, devo? Spero sempre che mi venga in mente qualcosa meritevole di un nobel per la letteratura, vanità umana, solo vanità. A chi mi chiede quando pubblicherò il nuovo libro l’unica cosa che riesco a rispondere è l’anno nuovo, se lo facessi adesso rischierei di fare come per le automobili, se immatricoli a dicembre a gennaio è già vecchio di un anno. Credo che accada a chi scrive di vivere più stati che vanno dall’euforia a tracce di depressione. Entusiasmo, idee generative di altre idee, intuizioni, e a volte il pensiero degenerativo di volere piacere ai potenziali lettori. Costruzione e distruzione, due molle contrarie si rincorrono, tendono agguati non vogliono darla vinta all’opposto, concludere cercando di non essere troppo lunghi ma neanche telegrafici e a momenti la tentazione di pigiare su canc ed eliminare il lavoro di mesi.
Mutuo questo passaggio tratto da Murakami – Il mestiere dello scrittore. “ Quando si cerca di entrare in un campo che non è il proprio, qualunque esso sia, non si è visti di buon occhio dalle persone che vi appartengono, e che tendono a impedirne l’accesso, come i globuli bianchi cercano di eliminare dal corpo i microorganismi estranei. Poi queste stesse persone finiscono per accettare tacitamente chi insiste imperterrito e ammetterlo tra i propri ranghi con l’aria di dire – Cosa ci possiamo fare? – ma per lo meno all’inizio sono molto diffidenti. Più un campo è ristretto, specialistico e prestigioso, più l’orgoglio e l’esclusivismo sono forti e cresce la resistenza ad accogliere gente nuova. “
Credere di essere diventato uno scrittore solo perché hai pubblicato qualche libro è solo credere, la cosa più difficile è restarlo cercando originali ispirazioni e soprattutto evitando di voler clonare lo stile vincente di qualcuno arrivato.
Essere originale senza doverlo essere per forza, scrivere come se avessi di fronte il lettore e immaginassi cosa potrebbe interessarlo senza che la trattazione diventi un colloquio a due ma generi coinvolgimenti emozionali, alla fine crearsi uno stile che sia solo tuo.
Quante volte e nei momenti meno opportuni si hanno delle intuizioni, si formulano mentalmente pagine e pagine che ti fanno dire se me ne ricordassi scriverei un capolavoro. Un amico di un importante e storico quotidiano, che mi ha più volte dedicato attenzione in terza pagina, mi ha suggerito: “hai scritto saggi, poesie, è ora che tu scriva un romanzo solo così potrai aspirare a diventare famoso”. I romanzi non sono il mio genere, o meglio, non ci ho mai provato ne mi sento di cominciare sarebbe una forzatura e poi ce ne sono già tanti di bravi, preferisco leggerli. Un libro è come un figlio va alimentato giorno dopo giorno sino a quando non cresce e allora le tue parole non sono più tue ma di chi vorrà accarezzarle e farle proprie. Ogni giorno inizia con una tazza di caffè, poi provi a riempire i fogli bianchi che ti guardano con aria di rimprovero, scrivere non è un obbligo se non è mestiere, se non senti una forza interiore che ti spinge a scrivere ti fai un giro al parco senza drammi; è il privilegio di chi non scrive su commissione, ma può seguire la sua spontaneità. Pubblicare, nel senso di rendere pubblico il proprio pensiero vuol dire esporsi, essere consapevole che ci potranno essere silenzi e disinteresse, pochi leggono e quelli che leggono a volte lo fanno etero diretti nella scelta di autori che per notorietà vendono non solo per talento e ti potresti trovare ad ascoltare conversazioni del tipo: “ho letto l’ultimo libro di….. e se dovessero citare te ci potrebbe essere qualcuno che venga fuori con un Giuseppe chi?”
Il segreto, se proprio non è la presunzione la molla dello scrivere, è non abbandonare “la penna”, scrivere per se stessi e poi per gli altri come a voler svelare un tesoro nascosto. Ti siedi sulla tua sedia, hai tante parole che si accalcano e spintonano perché vogliono occupare uno spazio di quel foglio bianco, avverti un senso di solitudine, un percorso tra accenti, punti e virgole per arrivare dopo un’attenta mediazione tra pensieri e parole a finalmente dire: “l’operazione è riuscita” mi faccio un’applauso sperando poi che arrivino gli applausi veri.