A Tel Aviv abbiamo riservato la parte finale del nostro viaggio, una città in continua trasformazione come si evince osservando le infinite gru che sbancano e atterrano vecchie casupole per sostituirle con nuovi edifici dalle forme strane, slanciate, altissimi, sulla scia dello stile Bauhaus che ha sperimentato qui i suoi esemplari più significati.
La Città Bianca la chiamano Tel Aviv per le costruzioni che vennero realizzate negli anni Trenta del Novecento dagli architetti tedeschi che fuggivano dalla Germania hitleriana. E che impreziosiscono i quartieri centrali in Rothschild Boulevard e nelle vicine Mazeh Street e Balfour Street; Ahad Ha’Am Street; Zina (Dizengoff) Square e Dizengoff Street; Ben Gurin Boulevard, Arlozoroff, Ben Yehuda Street.
Rothschild Boulevard è stata pensata come le ramblas di Bercellona, grandi viali alberati con al centro delle corsie stradali un ampio spazio destinato a giochi di società come le bocce o all’intrattenimento di bambini che giocano su grandi tappeti distesi sull’erba, oasi con gli attrezzi ginnici per gli sportivi e aree di sosta per la lettura munite di cuscinoni che si automodellano a seconda della posizione che si vuole assumere. L’attrezzatura è fornita dalla amministrazione pubblica che rende più agevole la immediata fruizione degli spazi verdi urbani, anche quelli situati fra le corsie delle auto.
Allo stesso principio e spirito di adattabilità si uniformano i vari chioschetti che servono da bere le solite bevande o caffè o al limite una caraffa d’acqua con menta e limone. La città usufruita dai suoi abitanti in maniera scanzonata e informale conferisce un’aria di libertà, la stessa che si percepisce nei kibbutz, senza distinzioni di ceto o di importanza sociale, neppure gerarchica, ma a tutti secondo il loro bisogno e da tutti secondo la loro capacità.
Accanto a questo grande cuore pulsante del centro, la città conserva vivo il suo cuore tradizionale commerciale nell’enorme e disteso mercato, il Suq HaCarmel, gli aromi e le antiche atmosfere di Kertem Ha Temanim, il quartiere yemenita, il mercato artigianale di Nahalat Binyamin Street. Banchi di ogni mercanzia si addossano gli uni agli altri senza ordine e senza alcuna attinenza, frutta di ogni tipo e in particolare i datteri e i melograni serviti in succhi o in grani, la verdura di colori e forme stravaganti, gli aromi, il pane, vestiti, formaggi, pesce, carni, fronteggiati lasciando un ristretto corridoio per far scorrere la folla che lo frequenta per comprare qualsiasi oggetto o merce che può trovare.
E’ anche questo il Medio-Oriente, è anche questo il Mediterraneo, un enorme mercato dove sia possibile ammirare il frutto del lavoro di estese classi di agricoltori che trasformano in bellezza e nutrimento il loro lavoro. Su questi banchi, in queste distese disordinate di merce di ogni tipo l’umanità da prova del meglio di sé. Usciamo pieni di consapevolezza, di considerazioni, buoni propositi e di amore per luoghi e persone che sembrano diverse da noi ma che condividono gli stessi sforzi e fatiche per un mondo dove il prezzo della vita vale quanto i prodotti della terra e della genialità umana, lontano dalle politiche di supremazia dei popoli sui popoli.
In questo senso la visita in Israele ci ha donato e insegnato molto, una terra in cui convivono religioni e storie diverse ma che l’esperienza umana fa vedere come sia possibile che convivano perché ricche di millenarie convinzioni, ma pronte a confrontarsi per il benessere dell’umanità.