Resterà aperta al pubblico fino al 20 luglio, nelle sale espositive della Cascina Roma, la mostra di Alfonso Bonavita e Paolo De Cuarto inaugurata lo scorso sabato 15 giugno.
Organizzata dalla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Il Castello” di Milano, in collaborazione con il Comune di San Donato Milanese, la mostra propone le opere di due artisti, accomunati da un’unica origine ma, sebbene disposti su due matrici artistiche diverse, con punti di convergenza che proprio dalle origini traggono linfa vitale e si manifestano spesso in opere nelle quali la comunicazione mass-mediologica fa da collante.
Bonavita e De Cuarto sono ambedue nati in Calabria, ma da lì sono partiti verso il nord Italia dove hanno elaborato il loro percorso di vita. Un percorso che li ha portati a maturare esperienze diverse e ad esprimere il loro sentire con tecniche diverse, originali e talvolta eccentriche, ma nelle quali la loro precoce vocazione artistica, manifestata per entrambi con la passione per il disegno già durante la loro fanciullezza approda, dopo uno studio accademico l’uno e sociologico l’altro, ad affrontare temi diversi nei quali ognuno esprime la propria peculiare personalità artistica.
Leggere le loro biografie ci offre l’opportunità di comprendere meglio il loro sentire, così fortemente espresso nelle opere esposte.
Alfonso Bonavita nasce nel 1962 ad Amantea, in provincia di Cosenza, un bellissimo paese arabo-bizantino sospeso sul mar Tirreno. Insieme alla madre e alle tre sorelle raggiunge nel 1963 il padre approdato da qualche anno nella periferia di Genova.
Una precoce vocazione artistica si manifesta già durante il periodo scolastico allorché ritrae i volti dei compagni, disegna le caricature del maestro elementare e dei bidelli. La sua passione per il disegno aumenta in maniera direttamente proporzionale al crescere della sua maturità. In occasione dei numerosi viaggi ad Amantea, Alfonso ha modo di conoscere l’artista calabro-milanese Francesco Magli che lo avvia allo studio dei volumi e gli fa comprendere l’importanza delle masse in rapporto con lo spazio che le contengono e le circondano.
Nel 1986 entra all’Accademia di Belle Arti di Genova.
L’opera di Alfonso Bonavita è un curioso e delicato mix di tradizione e contemporaneità, di rigore compositivo classico ed eccentrica creatività mass-mediologica.
L’artista non rompe con la storia pittorica novecentesca ma, al contempo, nemmeno si chiude di fronte alle frenetiche e laceranti innovazioni dell’iconografia di inizio millennio, ha visto i quadri di Oscar Kokoschka, conosce Corrente, ama i lavori di Mario Sironi e lo dimostra rinunciando al taglio del cordone ombelicale che lo lega a loro.
Nel 1993 incontra il sociologo Armando Orsoni, responsabile della struttura comunale genovese socio-assistenziale “Massoero”, con il quale intraprende una proficua collaborazione diretta al recupero dei ricoverati anche attraverso l’esercizio artistico; l’esperienza, all’interno della comunità di recupero, dura tre anni. In quell’occasione Alfonso realizza un ciclo di gigantesche pitture murarie nelle quali, con la partecipazione dei pazienti, rappresenta la caducità dell’esistenza, il sottilissimo confine tra il razionale e l’irrazionale, tra il bene e il male, tra l’agiatezza e la povertà, tra l’aggregazione e l’emarginazione.
Alfonso Bonavita, attraverso un percorso complicato e macchinoso che presuppone per la sua pittura una base corporea molto larga (la materialità di partenza), una testa piccola (lo spirito, l’assoluto) e la fisionomia negata del volto (interpretazione dei pensieri), lascia allo spettatore l’attenzione concentrata sulle figure, le cui tonalità a volte brillanti non nascondono, piuttosto evidenziano, la rassegnazione o il cinismo, di fronte agli eventi della tragedia, che pure lui stesso ha creato, o di cui è stato causa primaria l’uomo è impotente e disarmato.
L’artista esemplifica il tutto riducendo la testa dei suoi corpulenti protagonisti, ipocefalei e inespressivi, grandi e grossi troppo ingombranti per il mondo che sono andati ad occupare.
Paolo De Cuarto nasce in un posto a sud del sud dell’Italia: Catanzaro.
Ebbene, questa è la traccia biografica che riteniamo sia indispensabile per comprendere il suo percorso d’artista. Per il resto, la vita di un artista si delinea di conseguenza alla propria ispirazione; ma c’è sempre un punto d’origine, un giorno qualsiasi della propria esistenza, che sulla carta diventa “biografia”, da cui tutto comincia.
Paolo è un bambino calabrese, uno tra tanti a vederlo così, smilzo, vivace come tanti; eppure è un bambino speciale: gli piace osservare e soprattutto gli piace disegnare. Gli scorre nel sangue un po’ di Mimmo Rotella, suo celebre zio; si porta negli occhi le fotografie di un posto dove il tempo non passa, ma resta quietamente ad attorcigliarsi su se stesso, tra aspettative di un futuro che non arriva mai e il peso sommesso di un passato in cui tutto sommato ognuno piacevolmente si crogiola. E’ da questo tempo fermo, che ha consentito a una vecchia pubblicità su muro della Cinzano di sopravvivere al corso della storia e di imprimersi nella sua memoria, che Paolo estrapola il suo modo di essere artista. Li mette nella valigia, quella immagine e il tempo fermo della sua Catanzaro, assieme ai ricordi e al calore di una “tipica famiglia del Sud”; e li porta con sé a Milano, dove arriva per sbarcare il lunario, come tanti.
A Milano il tempo sta agli antipodi della dimensione in cui ha vissuto fino ad allora; corre costantemente in avanti, è quasi tutto futuro o quanto meno futuristico, passa velocemente senza aspettare nessuno, è in linea con una modernità che dimentica in fretta e si infatua di tutto, senza amare mai davvero nessuna cosa.
E’ in quel preciso momento che l’immagine della pubblicità della Cinzano si staglia come una montagna nello sguardo di Paolo De Cuarto, che nel frattempo frequenta assiduamente gli ambienti degli artisti, grazie alla collaborazione con lo zio famoso, Mimmo Rotella; è così che decide di rendere omaggio a tutta la bellezza che dalla modernità viene consumata in fretta e poi gettata via. La sua memoria torna al Carosello televisivo, che teneva stretta tutta la famiglia attorno al televisore prima di andare a dormire, alle rèclame che promettevano un mondo migliore, dagli anni ’20 ai ’50; si accorge che esiste un altro modo per raccontare la storia delle nostre trasformazioni e che da quel modo si può e si deve produrre una nuova bellezza, indistruttibile, protetta dalle tele, fissata nel tempo dell’arte, che non passa mai e che non passa mai di moda. Pesca dal passato immagini che dormono da qualche parte, nella memoria collettiva, riporta il passato nel presente e lo fa diventare “Pop”.
Dal 2002 ad oggi le immagini di Paolo De Cuarto hanno celebrato il Carosello della memoria in tutta Italia e poi in tutto il mondo, approdando nel 2014 addirittura in Cina.
Con “Tracce”, la mostra che ha inaugurato i percorsi di Matera, dichiarata patrimonio dell’umanità, il pittore calabrese ha definitivamente mostrato in maniera inequivocabile l’originalità del suo talento, che si può definire “racconto senza parole a tinte retrò”
Di lui Achille Bonito Oliva ha scritto “Egli è l’esecutore pittorico di una volontà affermativa dell’arte di non prescindere dalla storia, fatta di eventi esemplari ma anche di inquadrature che enfatizzano la vita”
La vita di Paolo De Cuarto è una vita semplice, esce fuori dagli schemi degli artisti bizzarri, contraddice anche in questo il luogo comune dell’impronta maledetta di chi vive di ispirazione; la vita di Paolo, se siete proprio curiosi, la si può respirare sulle sue tele, provando a immaginare un bambino che cerca di salvare un mondo a colori dal grigiore di un futuro cinico a tutti i costi.
Fonte: Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Il Castello” – Milano