La Chiesa di San Carlo era gremita di amici, compagni di una vita, breve, troppo breve. Accanto vi è il Comune di San Giuliano e a qualche centinaio di metri il Circolo Sociale Eterotopia, luogo di incontri e progetti per Daniele. Troppi. La testa gli frullava di continuo. Insieme a Simona, che riusciva a estrapolare quel non detto, appena accennato, che Daniele aveva in testa. Sembra che la nostra vita sia segnata e che le difficoltà segnino anche la fine, una morte incomprensibile per un giovane che era andato in quel boschetto della morte a Rogoredo per accompagnare qualcuno e che lì sembra abbia subito violenza, a giudicare dai segni che erano visibili rimasti sul viso e sulla testa.
Era troppo impegnato a fantasticare e a costruire iniziative a favore degli ultimi, dei disabili e degli stranieri. Aveva persino organizzato una marcia con le carrozzine, a cui aveva invitato anche il Sindaco, per promuovere l’abbattimento delle barriere architettoniche. Il primo a rendergli omaggio, dopo il rito funebre e l’omelia di Roberto Buzzi che ne ha ricordato il carattere esuberante, è stato proprio don Carlo, il prete operaio di Borgo Est che deambula in carrozzina. Il filo della memoria lo collega al Vangelo vissuto come amore del prossimo verso chi soffre per le discriminazioni sociali. Jole, la sua maestra della prima elementare, mi racconta commossa le vicissitudini drammatiche in cui è vissuto Daniele, orfano da giovanissimo. Inquieto, esuberante, discolo. Aveva fame di vita e di restituire agli altri l’immenso amore che possedeva. Ad un certo punto l’incontro con il Circolo Eterotopia compie il miracolo. Si manifesta una certa pena del contrappasso ma ribaltato, dalle condizioni di solitudine e di difficoltà alla volontà di produrre idee, progetti a beneficio degli ultimi. Ecco l’idea del teatro, il murale nelle case popolari emarginate, il sostegno alle iniziative di inclusione dei migranti. Ad una riunione per lottare contro le discriminazioni l’ho incontrato qualche mese fa, sempre coinvolgente con l’esposizione sovrapposta di una, due, cento cose, progetti, a cui cercava di restituire ordine Simona, sua compagna di vita e di fede verso l’umanità. Chi lo ha conosciuto da vicino, il suo ‘educatore’, traccia un ritratto di una vitalità esasperata a volte ma sempre beneficamente contagiosa. Simona lo dipinge come avrebbe voluto sentirsi dire di sé, Daniele. Legge un suo scritto sulla metafora dei punti di interpunzione: meglio la virgola del punto perché non chiude, lascia aperto uno spiraglio alla continuità del dopo. Aborriva le parentesi, Daniele, perché racchiudono lo spirito libero, come quello che si sentiva in lui. Infine l’urlo liberatorio che annuncia il via libera, una specie di ritornello semplice, come per dare inizio alle danze, al divertimento. Fuori gli amici gli rendono l’ultimo saluto abbracciati, come per compiere insieme la traversata, come si stesse ancora per giocare l’ultima partita utile per la vita. Che cosa ci era andato a fare lì, nel boschetto di Rogoredo, Daniele? Troppo frettolosamente si è attribuita la sua morte ad una overdose. Lui che ormai da tempo aveva intrapreso un altro percorso sociale. E quei segni sul viso e sul capo, che rivelano colluttazione? Era stato imprevidente e aveva reagito contro qualche misero spacciatore ed era stato malmenato, tramortito e poi ormai inerme aveva subito l’iniezione letale? Daniele aveva riscattato la sua vita desolata, ribaltandola nel contrario, mettendola a disposizione degli altri. E’ questa la verità e non potrà essere scalfita da superficiali e frettolose conclusioni. Lo esigono i suoi amici, raccolti nella famiglia che avevano ritrovato, quella di un Circolo in cui fanno della cultura e della generosità lo stile di vita. In questo senso Daniele resta un eroe epico, che ha fatto di un’esistenza votata al fallimento un esempio da seguire. Perciò è appieno figlio di questa terra, che stamattina gli ha tributato commossa gli estremi onori funebri.