Cosa è la malattia? Un turbamento del benessere psicofisico è chiaro, ma occorrerebbe definire in termini oggettivi il benessere, cosa tutt’altro che semplice. In nostro soccorso, come spesso accade, giungono gli Antichi: non è paradossale che una delle definizioni più calzanti della malattia sia stata fornita dal fondatore della medicina evidence-based (basata sull’evidenza), Ippocrate di Kos, che nel V sec. a.C. avviò il processo di eradicazione della superstizione e del misticismo dalla concezione del malessere.
Proprio la malattia era per Ippocrate il risultato di un amalgama disarmonico, turba della condizione fisiologica dell’uomo, tra gli umori del suo corpo. Sono il sangue, elemento caldo di origine cardiaca, la flemma, fredda e di origine cerebrale, la bile gialla, secca, proveniente dal fegato e la bile nera, umida, di origine splenica. Il ripristino dell’ordine tra le componenti elementari dell’organismo era – ed è con i dovuti aggiornamenti – la missione del medico. Verità che affondano le radici nella Tradizione medica egizia: Amon, dio della creazione nella Ogdoade ermopolitana, e Toth (Ermete Trismegisto presso Greci (Ἑρμῆς), Romani e gli Ermetisti medievali), avevano concesso agli uomini la conoscenza della Iatromathematika, la terapia del microcosmo personale mediante il restauro della corrispondenza al macrocosmo sistemico.
Matematica e astrologia – quest’ultima rigettata nel Corpus Hippocraticum – erano presso gli egizi anche scienze curative. Il suo autore, Ippocrate appunto, fu reso edotto della dottrina di Imhotep (Asclepio presso i Greci), dio della medicina, figlio di Tar, nipote di Ermete, dai sacerdoti nel corso di uno dei suoi viaggi in Egitto.
Imhotep (od Imuthes) non è una figura mitica, ma fu realmente architetto e medico di Zoser, faraone della III dinastia e costruttore della piramide a gradoni di Saqqara. Il suo culto è documentato da Galeno nel II sec. d.C. Tuttora controverso risulta il ruolo, talora di piromane, talora di salvatore dei papiri, di Ippocrate nei racconti dell’incendio del tempio di Asclepio a Kos.
A cavallo tra il V ed il IV secolo avanti Cristo il Maestro di Kos parlava di discrasia (disequilibrio), termine tutt’oggi usato in senso generalista ma anche per designare precise entità nosografiche; ad esempio in ambito ematologico si descrive il Mieloma Multiplo come discrasia plasmacellulare. E il cancro, le malattie autoimmuni non sono che danni da disregolazione, nel rapporto di proliferazione ed apoptosi cellulare e di aggressione verso il self, il proprio organismo, rispettivamente. Le malattie carenziali sono altrettanto, poiché viene meno la condizione necessaria, energetica, enzimatica od elettrolitica, perché l’eucrasia venga perpetuata. L’invecchiamento pure è discrasia, anche se fisiologica: gli enzimi, proteine che catalizzano le reazioni biologiche, si fanno inefficienti e così si verifica l’accumulo di prodotti di scarto del metabolismo cellulare, tossici in grandi quantità. I grassi si attaccano alle arterie; i neuroni che già costituivano patrimonio cellulare quiescente, poiché non si replicano, muoiono, e quelli sopravvissuti perdono poco a poco la loro connettività sinaptica; gli epidermociti vengono sempre meno rimpiazzati e la pelle diventa grinza e anidra; tutte le cellule sono suscettibili al danno e gli scudi vacillano, sino a quando la vita non lascia il corpo.
Per definire la malattia è necessario definire la vita.
Se la vita, dal punto di vista bioelettrochimico e per certi versi filosofico, è un sistema ordinato che si oppone al moto caotico delle particelle fisiche, noto come entropia, la malattia è ciò che rende inefficiente tale precario equilibrio neghentropico. Il primo a proporre questa visione di sintesi, per me geniale e lungi dal riduttivismo, fu Schrödinger, uno dei più insigni fisici della storia, nel suo libro del 1944 What is Life?.
La vita ha inoltre facoltà, e secondo gli estremisti dell’evoluzione l’obbligo intrinseco, di trasmettersi. Secondo tale visione anche delle alterazioni della fertilità o della virilità, insomma della capacità procreativa, possono essere considerate malattie, cosa che non mi trova necessariamente d’accordo, dovendo estendere su questa falsa riga il concetto a chi per ragioni personali non vuole o non può procreare. Non dobbiamo dimenticarci che l’evoluzione sociale origina da quella naturale ma la prevarica.
Estremizzando la vita è gradiente di ioni, di potenziali e correnti, di fluidi, e la morte ne è la dissipazione. È compartimentalizzazione ed organicità strutturale, e la morte invece costituisce la perdita definitiva ed irreversibile dell’architettura. È sinergia tra gli elementi, e la morte è caos.
Perciò le nuove frontiere fisico-chimiche riguardanti la concezione della malattia sembrano confermare le intuizioni classiche. Vale lo stesso per le malattie mentali, la cui evidenza clinica e sociale è sempre più supportata da conferme dei malfunzionamenti neurobiologici indagati tramite esami funzionali.
Da tali idee deriva che nel limite del nostro spettro di azione, che riguarda la malleabilità del nostro patrimonio congenito, avere uno stile di vita ordinato porti a più possibilità di vivere bene e più a lungo. Anche qui i conti quadrano. Ma siamo veramente disposti ad essere così ordinati? A me basta dare un’occhiata in casa per avere la risposta…
Foto in evidenza: Busto di Ippocrate di Kos
Fabio Villa
Nato a Monza nel 1986 e si è laureato in medicina col massimo dei voti presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
Durante gli studi si dedica ad attività di volontariato in Italia ed all’estero (India, Nepal, Mali, Rwanda, Brasile, Cambogia).
Dopo tre anni di formazione chirurgica nel dominio cardiovascolare, ed un master in economia che l’ha portato in università quali Harvard e Fletcher, si è trasferito a Ginevra, ove si dedica all’esercizio della Psichiatria e Psicoterapia ed in parallelo a svariati progetti.
Vanta prestigiose pubblicazioni sulle più autorevoli riviste scientifiche, tra cui The New England Journal of Medicine.
Si dedica inoltre alla filosofia delle scienze ed alla storia delle religioni. Nell’aprile 2014 pubblica il libro Il Placebo. Viaggio nell’Idea di Dio (Aracne) nella collana Atene e Gerusalemme diretta da Giuseppe Girgenti, professore di Filosofia Antica ed allievo di Giovanni Reale.