“Non posso fare un film ogni 5 anni… non è possibile…” E’ il cruccio di Nanni Moretti, Giovanni, regista sul set del film mentre gira il film nel film, prodotto da un francese entusiasta ma dalle finanze incerte e dubbie. La produzione entra in crisi quando la Polizia lo intercetta e lo accompagna nelle patrie galere. Nello stesso tempo la moglie Paola, Margherita Buy, sostiene un film con un giovane regista, che si compiace delle scene violente – perché questo chiede il pubblico, è la catarsi! – tra la forte indignazione di Giovanni che accompagna Paola sul set, bloccando per ore e ore, fino all’alba del giorno dopo, l’ultima scena dell’esecuzione a freddo di un individuo in ginocchio minacciato dalla pistola puntata sulla sua testa. Questa sua interruzione non dovuta delle riprese è la goccia che fa traboccare il vaso nei rapporti con Paola, che dopo una serie di sedute psicanalitiche segrete prende il coraggio e lascia il marito-regista perché si stente impedita e repressa dai suoi atteggiamenti duri e inflessibili. La loro figlia, Emma, che dovrebbe curare la colonna sonora del film, si innamora dell’anziano maestro di piano e intende sposarlo, con un certo spaesamento e iniziale disappunto dei genitori, vista la notevole differenza di età. La strada dei sentimenti alti e infelicemente definiti ha attraversato tutto il cinema morettiano, che esprime il disperato bisogno di amore interrotto e che perciò non trova strade e modalità per esprimersi.
Così nel film che sta girando, – gli piacerebbe colorarlo con le canzoni italiane, cosa che poi fa! – il segretario della sezione Antonio Gramsci del Partito Comunista, Ennio, in arte Silvio Orlando, è oggetto delle effusioni di Vera, in arte Barbara Bobulova, sua compagna, non previste nel copione, anzi avversate dal regista, perché le loro visioni sono contrastanti e quindi l’affetto amorevole da lei dimostrato si opporrebbe ai loro effettivi rapporti politici. Vera non comprende le pulsioni del regista. “Perché non si tratta di un film d’amore?”, sbotta Vera.
Siamo nel 1956, anno dell’invasione ungherese da parte delle truppe sovietiche. Il PCI non sa che fare. Non vuole rompere con l’Unione Sovietica e intanto la base rumoreggia, vorrebbe una presa di distanza forte dalla direzione che si rode. Tensione che si riverbera anche nel rapporto fra Ennio e Vera. La scena finale vorrebbe rappresentare questo dramma, nel momento in cui Vera consegna al segretario la tessera del partito rinnovata per 26 anni. Anche Ennio vive questo dramma e, pur essendo d’accordo con lei, per disciplina di partito non vuole ammetterlo. E’ deciso a togliersi la vita piuttosto che allontanarsene. La scena e le parole non riescono ad esprimere questo travaglio politico e umano, Giovanni è insoddisfatto, capisce i limiti della finzione scenica rispetto alla realtà e allora si immagina lui presente sul set mentre una musica dolce e melodiosa invade tutti che si mettono a danzare, con movimenti lievi e circolari, che richiamano la leggerezza. Il quartiere dove vivono, – qui l’azione del partito ha fatto installare la luce -, ospita un circo che arriva dall’Ungheria.
Durante le esibizioni e gli spettacoli giunge l’eco della invasione russa e allora gli addetti, clown, equilibristi e artisti vari entrano in sciopero e si alleano in una protesta con i contestatori della linea nazionale del partito che manca del coraggio nell’esprimere il dissenso necessario contro l’oppressione russa e per affermare il diritto alla libertà. La storia non si fa con i se… ma il regista infrange questa regola. Immagina appunto una richiesta rivolta da una piazza in fermento laddove Ennio, il segretario, invece di impiccarsi si rivolge con il megafono a Togliatti, invitandolo ad uscire sul balcone e a pronunciare la condanna tanto attesa.
Ci sono echi moraleggianti nel comportamento del segretario quando rimprovera due giovani amanti, uomini, che si baciano nel camerino, rimproverandoli che con il loro atteggiamento infrangono il comune senso del pudore, come quando il partito radiò Pasolini. E non può permetterselo. Un film che si snoda lungo un percorso già intrapreso da Nanni Moretti, in cui i personaggi che sognano “il sol dell’avvenire” trovano a sbarrare la strada delle loro aspirazioni politiche e sociali una realtà incomprensibile, difficile da scalare. E allora non resta che rinchiudersi nel sogno felliniano del circo e nel corteo finale con gli elefanti su cui siedono a cavalcioni divertiti Ennio e Vera, mentre alle loro spalle marciano, una specie di IV Stato, gli attori e le attrici dei suoi film precedenti con Nanni Moretti in testa.
Il Sol dell’Avvenire è un bellissimo film del genere commedia ma drammatico, del 2023, appena uscito nelle sale, diretto da Nanni Moretti, con Nanni Moretti e Margherita Buy, Silvio Orlando e Barbora Bobulova, prodotto da Sacher Film, Fandango con Rai Cinema, Le Pacte.
*foto in evidenza: Sol dell’avvenire – La marcia