Il senso del presepe negli insegnamenti di monsignor Tonino Bello, il vescovo di Molfetta che il papa due anni fa ha dichiarato “venerabile”, tappa importante nel percorso verso la canonizzazione
Rivelatrice dei sentimenti più intimi del vescovo circa il Natale è una intervista rilasciata ad un periodico locale di Giovinazzo, “il Messaggio”, nel dicembre 1989. Nell’informalità di un colloquio il vescovo raccontava il senso del Natale, il suo significato e i suoi ricordi. Diceva che il Natale rappresentava per lui lo spirito di accoglienza nei confronti del Signore che spasima per entrare nella nostra vita e per allenarci alla solidarietà verso il prossimo. Raccontava che il Natale più significativo per lui era stato quello degli ultimi anni della seconda guerra mondiale in cui si avvertiva il senso di paura, la mancanza della messa di mezzanotte e il contrasto tra l’annuncio di pace del Natale e la violenza della guerra in atto, e quasi in un filo rosso di collegamento, il Natale da vescovo in cui era andato a celebrare non in cattedrale ma in un posto dove alloggiavano in emergenza alcune famiglie di sfrattati.
Don Tonino, inoltre, riconosceva di essere molto legato al presepe ma non aveva tempo per allestirne uno in casa sua spiegando che “Gesù vivo che non trova ospitalità mi impegna a preparargli ben altri presepi. Questo però mi fa soffrire perché mi priva della tenerezza, dell’ansia, del gaudio interiore che si prova quando ci si accinge ad allestire in casa questa ‘memoria’ di Gesù che nasce”.
Ecco il presepe come tenerezza, ansia, gaudio interiore, memoria viva: sentimenti che tutti da bambini abbiamo provato e che l’età adulta ha provato a espropriarci. Il Natale diventava per il vescovo ulteriore motivo di incontro non solo col Signore che nasce ma anche con la sua gente. Non lo trascorreva in famiglia, dato che la sua famiglia era diventata la gente di Molfetta. Così dedicava quella giornata di festa a girare attraverso la diocesi per stringere nell’augurio migliaia di mani, andava a pranzo nella comunità CASA dai tossicodipendenti in cura e nel pomeriggio si recava a trovare i sacerdoti anziani e ammalati a cui portava qualche dono. A tal proposito era infastidito quando da qualche azienda riceveva panettoni, dopo il Natale, quasi che i poveri fossero i destinatari dei nostri avanzi.
Il Natale gli offriva l’occasione per dare sempre il suo messaggio di speranza invitando i fedeli a trovare il senso del vivere, e a vivere con “santa allegrezza” anche nei momenti di prova in quanto non c’è motivo di paura quando c’è il Signore. Invitava a preparare il Natale con la preghiera e la penitenza, a guardare alla vita con speranza e fiducia perché il Signore ci vuole sempre bene.
In occasione del Natale il vescovo riceveva tanti messaggi di augurio da confratelli, preti, emigranti, amici lontani. Il suo cruccio era di non riuscire a rispondere a tutti, ma faceva sapere che conservava tutta la corrispondenza e auspicava che “quando sarò vecchio, magari accanto a un presepe che solo allora avrò il tempo di costruire, risponderò a tutti”.
Incalzato dall’intervistatrice il vescovo ricordava i dolci del suo paese e della sua infanzia, che con le loro spezie gli riportavano le sensazioni e gli stupori di una età passata e anche il volto di chi li preparava.
A questo proposito mi piace ricordare un testo poco noto inviato dal vescovo per il Natale 1985 ai parrocchiani dell’Immacolata di Giovinazzo e pubblicato in autografo sul periodico “La tenda”:
“Auguri, fratelli miei.
Gesù che nasce vi dia la gioia dell’infanzia, il gusto della semplicità, il rifiuto delle complicazioni, il rigetto della furbizia, l’antipatia per il calcolo, la limpidezza del cuore, la trasparenza dei pensieri, il desiderio di spendervi per gli altri, l’ansia di dare tutto senza trattenere nulla per voi stessi, la contentezza di sentirvi all’ultimo posto.
Ma Gesù vi dia soprattutto il fuoco della comunione con tutti. In modo che nessuno si senta rifiutato da voi, o non trovi posto, come Gesù, nell’albergo del vostro cuore, e si ripeta così la tragedia del primo Natale. Vi abbraccio
don Tonino, vescovo”.
In un testo introduttivo a un opuscolo dell’assessorato al turismo della città e della Pro Loco di Molfetta ritornava sul significato simbolico e umano che il presepe aveva per lui (ricordando forse i ponticelli che costruiva da vice rettore quando allestiva quello del seminario di Ugento):
“Amo il presepe, questa gaudiosa rivincita del cuore sulla specularità del pensiero. Se sui crinali scoscesi della Rivelazione la teologia si inerpica temerariamente con amore, il presepe, quello popolare dell’800 soprattutto, non è da meno. Anzi, la scavalca in arditezza: col bilico dei suoi ponti, col paradosso delle sue montagne, con l’anacronismo delle sue città, con la trasognata semplicità dei suoi personaggi. Per questo amo il presepe. Ma lo amo ancor di più perché mi suggerisce un’arditezza perfino più grande: che Lui, il Signore, è disposto a ricollocare la sua culla, anche oggi, sulle pietraie della mia anima inquieta”.
L’aspetto coreografico fa da sfondo all’aspetto più esistenziale. Il presepe è il segno tangibile di quell’evento che ha cambiato la storia dell’umanità per cui il Figlio di Dio è entrato nella storia, fatto uomo per noi. Ė il segno dell’incommensurabile amore di Dio per l’uomo, amore di cui don Tonino si sentiva oggetto e annunciatore come vescovo.