Gli interessi egoistici particolari, la globalizzazione e le colpe di un colonialismo economico sempre più pressante rischiano di far precipitare le guerre per procura in scontri diretti.
Ciò che sta accadendo in Niger non è solo cosa loro. E’ qualcosa che ci riguarda, e anche molto da vicino. Ci riguarda perché il mondo è ormai interconnesso, politicamente, economicamente e anche militarmente. Non dimentichiamo l’effetto farfalla di Lorenz, secondo cui il battere delle ali di una farfalla in Brasile provoca un tornado in Texas.
E questo vale anche per l’Africa, continente enorme, con enormi potenzialità, con enormi ricchezze di materie prime, con enormi interessi che ruotano soprattutto intorno a queste ultime.
Continente oggetto di saccheggio coloniale nei secoli scorsi, sembra non abbia ancora cambiato tale sua vocazione. Se nei secoli scorsi il saccheggio avveniva attraverso la forza militare delle potenze coloniali, oggi avviene attraverso la potenza economica di quegli Stati che, comunque, si possono a ragione ancora ben difinire coloniali.
Non v’è potenza, sia essa occidentale, russa, mediorientale o asiatica, che non abbia interesse ad accedere alle ricchezze minerarie dei territori africani.
E, allora, ecco l’intrecciarsi di interessi contrastanti, che impedisce al continente africano di affrancarsi dal dominio coloniale che, come già osservato, non è più militare ma economico. Il timido tentativo di reazione dell’Ecowas, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, di ristabilire la democrazia in Niger dopo il colpo di stato militare va a scontrarsi con interessi esterni al continente che, già di per se, hanno un equilibrio instabile.
La guerra di aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, che muove dalle stesse basi di desiderio di espansione coloniale dei russi, questa volta con metodi che potremmo definire “antichi” (ma non troppo), ovvero con l’aggressione militare, ha sicuramente le sue ripercussioni in Africa, soprattutto per l’allarme alimentare, ma non solo. C’è infatti, anche da parte della Russia, il desiderio di arrivare alle ricchezze minerarie africane attraverso la destabilizzazione e, in prospettiva, attraverso un intervento che potrebbe essere militare in seguito. La presenza in alcuni zone strategiche del continente africano della Wagner non è casuale, ma parte di un piano prestabilito di occupazione (militare e/o economica) e di futuro sfruttamento.
La Cina sembra, ma solo apparentemente, tenere una posizione d’attesa.
E l’occidente che fine ha fatto?
Gli Stati Uniti sono molto cauti. Sanno che qualsiasi loro intervento diretto scatenerebbe l’ira degli altri competitori, e allora prende tempo sperando in una soluzione diplomatica per la quale sarebbe necessario non il miracolo di un santo, ma di qualcuno più in alto.
Posizione attendista e dichiaratamente aperta ad una situazione diplomatica (leggasi anche di compromesso) per l’Europa che, in verità, su quello che sta succedendo in quella polveriera che è l’Africa, ha più di una colpa.
Tralasciamo il passato colonialista delle potenze europee, ma non passiamo sopra ciò che il passato colonialismo ha lasciato, ovvero la sua continuazione sotto forme diverse, ma tuttora persistenti.
C’è poi qualcuno, e qui non si può fare a meno di farne il nome, che per interessi propri non ha mai smesso di sfruttare le ex colonie. E l’utilizzo del termine sfruttamento non è una forzatura. Vogliamo parlare del ruolo della Francia nella corsa all’accaparramenti delle ricchezze dell’Africa?
Nelle sue ex colonie questa corsa è continuata senza soluzione di continuità anche dopo la fine ufficiale del colonialismo. E non si tratta solo di “zona d’influenza”. Basti pensare al fatto che la Francia tutt’oggi gode del signoraggio su tutti i paesi dell’Africa occidentale. Serissimo il dubbio che l’abolizione del Franco Cfa, la moneta ufficiale delle ex colonie emessa dalla Francia, decretata da Macron nel 2020 per offrire l’immagine di una Francia non più colonialista e sfruttatrice, altro non è che un’operazione di facciata che si può tranquillamente collocare, senza timore di essere smentiti, nell’ambito della mera propaganda. Anche perché la moneta che la va a sostituire, l’eco, verrà comunque stampata e trasportata sempre dalla Francia che, sebbene con la cessazione dell’obbligo di depositare metà delle riserve di cambio dei paesi dell’Uemoa al tesoro e alla Banca di Francia, e il ritiro dei rappresentanti di Parigi dagli organi tecnici di controllo della Banca centrale degli stati dell’Africa occidentale (Bceao), rimane comunque “garante fiduciario” della valuta africana. Sono molti gli economisti che ritengono tutta l’operazione un semplice cambio di nome della valuta. Nella sostanza tutto rimane come prima.
Potremmo anche parlare dell’ingerenza della Francia in Libia spinta, oltre che da mero interesse elettorale dell’allora presidente francese Sarkozy, anche dalle mire di espansione del colosso petrolifero francese ai danni della nostra Eni, che ha portato alla caduta dell’unico aggregante presente nel paese, ovvero Gheddafi, certamente non uno stinco di santo ma comunque garante della stabilità della Libia.
Intanto l’Europa “auspica” una soluzione diplomatica semplicemente perché non sa cos’altro fare. Nè può fare altro, visto che di una vera politica unitaria europea non se ne parla neanche e ognuno ha il suo orticello da coltivare. Peraltro, con l’aggravante che uno dei massimi colpevoli di questa situazione di destabilizzazione del continente, l’Unione Europea ce l’ha in casa.
Che fare?
Mi pare che l’idea del nostro governo di trattare da pari gli Stati africani con i quali si intrattengono rapporti, sia economici che politici e sociali, con un sistema di “scambio” reciprocamente vantaggioso, possa essere una soluzione in grado di ribaltare l’attuale situazione di sperequazione. Un piano Mattei europeo sarebbe sicuramente un vincolo prima di tutto al reciproco rispetto in una situazione di pari dignità tra Stati. E questo potrebbe tornare utile all’Europa ed essere anche uno straordinario volano per l’evoluzione tecnologica ed economica dell’Africa.
Ma questa è una soluzione a medio-lungo termine, sulla quale però bisognerebbe cominciare a lavoro da subito. Cosa che, considerati gli interessi particolari ancora ben presenti all’interno dell’unione europea, difficilmente si potrà attuare.
Cosa ci dobbiamo aspettare, allora?
Nella migliore delle ipotesi una situazione di stallo nella quale si potrebbe lavorare per costruire il sistema del piano Mattei europeo, ma ci sono altri paesi, con la Russia in pole position, che hanno tutto l’interesse a far precipitare gli eventi.
Nella peggiore delle ipotesi una guerra, anch’essa per procura, con il preannunciato intervento militare del paesi dell’Africa occidentale.
Insomma, si aprirebbe un altro fronte di guerra guerreggiata tra il blocco occidentale e la Russia, con tutti gli annessi e connessi della cosiddetta guerra ibrida (guerra elettronica, carestia, mancanza di materie prime, ecc.). E così la terza guerra mondiale, quella veramente combattuta con le armi, è servita.
Per adesso per procura, ma basta poco, un incidente anche apparentemente di poco conto, per far precipitare il mondo nella catastrofe.
*Nella foto in evidenza: Il Gen. Abdourahamane Tchiani, capo giunta militare in Niger