Il senso del Natale nelle lettere pastorali di monsignor Tonino Bello, il vescovo di Molfetta, dichiarato “venerabile” un anno fa dalla Congregazione delle Cause dei Santi. Considerazioni ed esortazioni di stringente attualità in questo tempo di pandemia.
Oltre il presepe, o meglio a partire dal presepe, si esprimeva la meravigliosa teologia pastorale che si articola negli auguri natalizi inviati alla diocesi con lettere indirizzate direttamente a Gesù, a Maria e Giuseppe in cerca d’alloggio, con messaggi modulati sulle diverse categorie di disagio e di povertà, e conclusi con la lettera del 1992 a pochi giorni dal suo viaggio a Sarajevo.
Nel Natale del 1984 disse: “Vorrei stringere la mano di tutti, dei bambini e dei grandi, dei ricchi e dei poveri, e fissare gli occhi della gente, e ripetere a ognuno che, se la tregua santa del Natale si allargasse a tutti i trecentosessantacinque giorni dell’anno, la vita sulla terra sarebbe più bella: senza sfrattati, senza famiglie divise, senza cuori delusi, senza tragiche solitudini”.
In una omelia disse che il Natale ci chiama a rapporto ogni anno. Provoca la coscienza di ciascuno a misurarsi con le forti dualità della vicenda umana. Ė come andare in un tribunale, che non si trova in un austero palazzo di giustizia, ma in una grotta, e non ci troviamo di fronte alla cattedra di un magistrato sospettoso, ma davanti alla mangiatoia con un bambino che ci intenerisce. E non ne usciamo condannati ma rinnovati e ricchi di nuova speranza, consapevoli che anche le cose irrecuperabili possono cambiare, che la ripresa è sempre possibile, che la nostra spiritualità si può sempre arricchire.
Il Natale è fonte di rinascita perché provoca un vortice di nostalgia che richiama all’essenziale e a quei valori che sono alla base dell’impegno sociale e che man mano si affievoliscono. Citando la lettera di san Paolo a Tito, letta la notte di Natale, invitava a vivere con sobrietà, giustizia e pietà. Soprattutto la sobrietà intende saggezza, equilibrio, moderazione. Si tratta di non esaltarsi, di non pensare a soldi e carriera, di essere consapevoli del limite, di mantenere l’equilibrio nel vortice delle passioni, di non farsi prendere dalle vertigini che il potere può esprimere nell’ambito di spartizioni e compromessi. Il potere può provocare l’oblio delle leggi e il tradimento dei poveri. Per questo il Natale porta a una revisione critica dei comportamenti, inducendo a ripugnare intemperanze di potere e a coltivare l’umiltà e la modestia propria dei “servi inutili” citati dal Vangelo di Luca.
Tra le lettere meno note in occasione del Natale desidero ricordare quella scritta in autografo per il Natale 1992 ai ragazzi (orfani o in condizioni familiari di disagio) ospitati presso l’Istituto Vittorio Emanuele II di Giovinazzo:
“Desidero esprimere a tutti voi il mio affetto e la mia simpatia. Non ho avuto molte possibilità di stare a lungo con voi, ma spesso mi sono fatto vedere nella vostra comunità, soprattutto nei momenti di festa. Ho sempre goduto della vostra presenza e ho imparato tante cose da voi, operatori e ragazzi.
Agli operatori desidero rivolgere gli auguri di Buon Natale. Siate sempre accoglienti, benevoli, capaci di gioia, trasmettitori di speranza, umani come fu (anzi si fece) umano Gesù.
A voi ragazzi dico: crescete sani, su principi saldi che vi vengono trasmessi dagli educatori. Costruitevi fin d’ora una scala di valori, in cima alla quale ci sia l’amore per l’altro, il riconoscimento del suo volto, e il rispetto per tutti, amici o avversari. Gesù che viene, vi dia tanta speranza. Auguri”.
L’ultimo Natale di don Tonino fu particolare perché un paio di settimane prima si era recato a Sarajevo quale intercessore di pace, per usare una espressione cara al card. Martini. La consueta lettera di augurio natalizio alla comunità diocesana risentiva di questo viaggio, delle emozioni e dei sentimenti provati, acuiti ancora di più dall’essere all’ultimo stadio della malattia. Restano, nel suo scritto, le immagini di grotte, pastori, angeli, ma attualizzati nel contesto della realtà di guerra appena vista. Parlava della sua permanenza a Sarajevo come trasfigurazione del mistero del Natale. E faceva un parallelismo tra i simboli classici del Natale e la situazione di guerra: la grotta diventava come le case sventrate, le comete come la scia delle granate, gli angeli erano gli abitanti del luogo che invocavano la pace, e così via. La carovana dei cinquecento pacifisti è diventata quella dei magi, costretti a trattare con i potenti del luogo fino a raggiungere, dopo tante difficoltà e peripezie, l’obiettivo di entrare in zona di guerra. In questo contesto di luoghi e personaggi (del presepe) dove era Gesù Bambino? Don Tonino l’ha trovato nell’abbraccio con la gente sfibrata nel fisico e nella speranza da una guerra assurda, atroce e logorante, ma confortata dalla presenza di questa ONU dei poveri, secondo l’espressione più volte da lui ripetuta in quel periodo.