Perché non credo più nel concetto di Patria.
Tutto ebbe inizio quando compii nove anni. Il regalo di compleanno di mio padre fu un libro con la copertina di vilpelle bordeaux e i caratteri impressi in color oro. Sulla copertina c’era scritto “Cuore di Edmondo De Amicis”. Fin da bambino i libri non li leggevo, li divoravo. Lessi il libro Cuore ben otto volte di fila. Giunto all’ultima pagina ricominciavo daccapo. Alla fine avevo talmente interiorizzato i buoni sentimenti in esso riportati da farne una visione di vita. Sono cresciuto credendo fermamente nei concetti di amicizia, solidarietà, famiglia, senso del dovere e del sacrificio e, in rigoroso silenzio, anche in quello di Patria. Si, proprio così: in rigoroso silenzio. Perché esternare il proprio amore per il tricolore, per l’Inno (allora) di Mameli, per la Patria, non ti rendeva particolarmente popolare, soprattutto nella metà degli anni ’70, quando frequentavo le superiori. Dichiarare apertamente di essere patriota significava farsi marchiare a fuoco sulla propria pelle la stigma di fascista. E così, per lunghissimo tempo, sono stato un patriota silenzioso. Poi, con il Presidente Pertini e la vittoria ai Campionati Mondiali di Calcio del 1982 e, soprattutto, con la svolta imposta dal Presidente Ciampi sull’uso della bandiera e dell’inno nazionale, il concetto di Patria venne sdoganato. Che strana sensazione. Non sapevo se essere finalmente felice di poter condividere questo sentimento d’amore con i miei connazionali o continuare a coltivarlo interiormente in assoluta solitudine, conscio del fatto che tale sentimento fosse per la stragrande maggioranza dei casi sorretto esclusivamente dalla passione calcistica. Ha prevalso la delusione e così l’amor di Patria me lo sono tenuto solo per me.
Ma le cose nel tempo cambiano e anche la nostra bella Italia è cambiata, e sembra proprio che la mia sensazione di non perfetta maturità del concetto di Patria tra gli italiani si sia, purtroppo, dimostrata veritiera.
Infatti, oggi tutti sono patrioti, o quanto meno tutti si dichiarano tali, usando e abusando questo concetto. Dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando per il centrodestra, per il centrosinistra, per il centrosopra e per il centrosotto, tutti agiscono e propongono le loro tesi su come governare il Paese (le loro tesi … non le loro idee, perché di quelle ne hanno poche o non ne hanno affatto), in nome di un ritrovato patriottismo.
Ebbene, non per fare il bastian contrario, ma adesso che tutti sono patrioti io comincio a sentirmi meno patriota di prima, molto meno patriota di prima.
Così, fra me e me, ho rivalutato il pensiero di una delle più grandi intellettuali italiane, che ancora adesso trova una feroce apposizione pseudo intellettuale da parte di chi considera le sua capacità di vedere il futuro una minaccia alle proprie residue certezze ideologiche. Oriana Fallaci, nel suo tema di italiano all’esame di maturità, a proposito del concetto di Patria, così scriveva:
“Brandii la stilografica, mi gettai come un lupo ringhioso sul foglio protocollo, e questo (più o meno) è il riassunto di ciò che scrissi per otto colonne piene.
<<Patria, che vuol dire patria. La patria di chi? La patria degli schiavi e dei cittadini che possedevan gli schiavi? La patria di Meleto o la patria di Socrate messo a morte con le leggi della patria? La patria degli ateniesi o la patria degli spartani che parlavano la stessa lingua degli ateniesi però si squartavano tra loro come molti secoli dopo avrebbero fatto i fiorentini e i senesi, i veneziani e i genovesi, i fascisti e gli antifascisti? E’ da quando ho imparato a leggere che mi si parla di patria: amor patrio, orgoglio patrio, patria bandiera. E ancora non ho capito cosa vuol dire. Anche Mussolini parlava di patria, anche i repubblichini che nel marzo del ’44 arrestarono mio padre e fracassandolo di botte gli gridavano se-non-confessi-domattina-ti-fuciliamo-al-Parterre. Anche Hitler. Anche Vittorio Emanuele III e Badoglio. Era patria la loro o la mia? E per i francesi la patria qual è? Quella di De Gaulle o quella di Pétain? E per i russi del ’17 qual era? Quella di Lenin o quella dello zar? Io ne ho abbastanza di questa parola in nome della quale si scanna e si muore. La mia patria è il mondo e non mi riconosco nei costumi e nella lingua e nei confini dentro cui il caso mi ha fatto nascere. Confini che cambiano a seconda di chi vince o chi perde come in Istria dove fino a ieri la patria si chiamava Italia sicché bisognava uccidere ed essere uccisi per l’Italia ma ora si chiama Iugoslavia sicché bisogna uccidere ed essere uccisi per la Iugoslavia. Invece di darci il tema sul concetto di questa patria che cambia come le stagioni, perché non ci date un tema sul concetto di libertà. La libertà non cambia a seconda di chi vince e chi perde. E tutti sanno cosa vuol dire. Vuol dire dignità, rispetto di sé stessi e degli altri, rifiuto dell’oppressione. Ce l’hanno ricordato le creature che sono morte in carcere, sotto le torture, nei campo di sterminio, dinnanzi ai plotoni di esecuzione gridando viva la libertà, non viva la patria…>>.
Successe un finimondo. Alcuni dei professori che componevano la commissione esaminatrice sostenevano che ero pazza e immatura, altri che ero savia e insolitamente matura. Vinsero i secondi e mi dettero dieci meno”.
Ecco perché a 64 anni uno dei punti fermi del mio pensiero, l’amor di Patria, comincia a venir meno. Quando si tocca con mano l’uso strumentale che si può fare di un concetto, allora è meglio riflettere e ricollocare il proprio pensiero su un altro concetto, magari un pò più solido. Per questo, seppure profondamente deluso e amareggiato per una scelta fatta a nove anni, alla quale sono rimasto fedelmente aggrappato per 55 anni, dimostratasi non proprio del tutto corretta, ritengo necessario liberare la mente e ricominciare daccapo, magari con un pò più di razionalità e meno coinvolgimento emotivo.
Ci ho impiegato tanto a capire Oriana, ma alla fine mi hai convinto che avevi ragione tu: evviva la libertà.
*Nella foto in copertina: Oriana Fallaci