Riflessioni sparse: indifferenza, razzismo, aggressività, machismo. Altro.
Una vicenda cruda, quella della morte di Alika Ogorchukwu, dove temi come indifferenza, razzismo, aggressività, dovere civile del soccorso, machismo, sono tornati a galleggiare a vista, coinvolgendoci. O forse no. Siamo talmente abituati all’esposizione mediatica quotidiana di corpi che lasciano il corpo – penso alla guerra in Ucraina, alle immagini che raccontano da sempre la fame nel mondo, agli immigrati che il mare s’inghiotte a pochi metri dalla riva – che tale “spettacolarizzazione” pare abbia disattivato le nostre emozioni, spegnendone il bruciore annesso.
La questione triste sta nel fatto che quando l’informazione, l’apparizione televisiva si fa routinaria, anche la più indigesta per ruvidità finisce per perdere smalto, generando un disinteresse quasi annoiato: è assuefazione psichica.
“L’assuefazione è l’effetto di un distanziamento psichico finalizzato alla neutralizzazione di un fattore giudicato perturbante. Ma, in realtà, questo distanziamento è, a sua volta, l’effetto di un’eccessiva prossimità inconscia all’oggetto dell’angoscia”, scrive Massimo Recalcati. L’assuefazione psichica è, dunque, un fenomeno di difesa dal trauma, dove l’abitudine sta solo tentando di “ridurre lo scandalo – indigeribile psichicamente – di ciò che accade”, ma assuefazione fa pur sempre rima con rimozione, ed effettivamente è ciò rischia anche l’episodio nefasto che vede la morte di Alika Ogorchukwu (Civitanova Marche, 29 luglio 2022): una rimozione generale, ad opera dei nostri cervelli, quale effetto dell’adattamento alla presenza del nefasto nella vita quotidiana.
Testimoniare l’orrore, allora, parlarne, per impedire sia che possa ripetersi, sia che sia possibile assuefarsene.
Cosa è accaduto a Civitanova Marche?
La presenza inerte di decine di occhi bianchi, che guardavano, filmavano, commentavano ed ancora guardavano, filmavano, commentavano, senza frapporsi tra quelle mani bianche e quella vita nera, facilmente “puzza” di indifferenza vuota, quintessenza di un mondo gelido e distante, che fa della non-azione risposta di una complicità passiva. Inevitabile lo sgomento di chi commenta ex post, dove l’immagine di un mondo altero, deumanizzato, classista, in cui non valga più la pena esserci, si staglia all’orizzonte.
Forse tale (presunta) indifferenza è figlia di un malcelato razzismo strutturale, collusione con la volontà di esporre a violenza un essere umano dal colore “sbagliato”. Perché persone immobili, assemblate in cerchi concentrici, ora che filmano l’incubo selvaggio con il proprio smartphone, ora che guardano chi filma l’incubo, possono a prima vista apparire il perfetto estratto di un pubblico bianco xenofobo che mal sopporta lo straniero.
Machismo? Sì, probabilmente anche quello. Due uomini che si picchiano devono “farla fuori” per i fatti loro, credenza sottesa ad una certa virilità, che in questo caso ha, però, perso di vista che uno dei due fosse portatore di handicap.
Personalmente, in questa triste faccenda, colgo innanzitutto la possibile presenza di un fenomeno che prende il nome di “responsabilità diffusa”. È più facile essere soccorsi se si viene aggrediti in un vicolo isolato che se si è in Piazza Duomo a Milano, e ciò accade per un fenomeno noto alla psicologia sociale che spiega come la presenza di molte persone crei un effetto per cui tutti pensano che sia l’Altro a dover intervenire.
La tendenza all’omologazione, poi, porta a fare ciò che fanno gli altri: se la maggior parte delle persone non ha risposto al segnale di allarme, gli altri hanno finito per imitarli.
Il fatto che nessuno abbia fatto la prima mossa, può aver ingenerato il dubbio, il sospetto, di aver mal interpretato il contesto. In questo caso, data l’evidente colluttazione, è più facile che il meccanismo della svalutazione abbia avuto la meglio: svalutazione dell’esistenza del problema, svalutazione dell’importanza/gravità del problema, svalutazione della possibilità di risoluzione del problema, svalutazione delle proprie risorse personali per risolvere il problema. Tradotto: “Oddio, sembra una rissa, ma forse è un falso allarme!”, “Oddio, c’è una rissa, ma non mi sembra così grave, ora smettono!”, “Oddio, c’è una rissa, ma non si può bloccare!”, “Oddio, c’è una rissa, ma io non posso fare niente”. Persi nel dubbio circa il da farsi, privi di uno schema comportamentale adeguato da attuare in quella particolare circostanza, gli astanti sono rimasti fermi. Risultato: paralisi. A quel punto forse anche io, avrei potuto estrarre il mio cellulare e filmare! E lo avrei fatto per documentare (almeno) l’evento a beneficio dell’aggredito.
C’è la questione paura. Perché i presenti potrebbero aver provato paura di intervenire. A volte quella prende il sopravvento e “uccide più della spada”, compromettendo il ragionamento, rallentando il pensiero. Diverse ricerche hanno messo in luce l’esistenza di una reazione di freezing (totale o parziale “congelamento” dei movimenti da parte della persona che sta vivendo la situazione d’emergenza) anche di fronte alla visione di film spiacevoli (Hagenaars, 2014) – immaginiamoci se la scena è reale, come quella dell’aggressione – oppure in risposta a stimoli sociali di minaccia, come espressioni facciali che esprimono rabbia (Roelof, 2010) – quali potevano essere quelle dell’aggressore di Civitanova Marche.
Infine, sulla tempistica di una possibile reazione. Secondo gli studi del National Institute of Standards and Technology (NIST) durante l’attentato aereo alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, le 15000 persone presenti nel WTC hanno aspettato in media sei minuti prima di iniziare l’evacuazione (State of mind, luglio 2018). Per dire cosa? Che forse in molti avrebbero voluto reagire, ma la mente umana è (anche) lenta in alcuni frangenti.
Leggo sull’Essenziale un articolo su questo episodio, ad opera delle attiviste Wissal Houbabi e Marie Moïse, che concludono così: “Chiediamo alle femministe nostre alleate di denunciare sempre le strumentalizzazioni del loro corpo e la violenza maschile contro le maschilità subalterne, come quelle razzializzate. Perché la matrice della violenza maschile è intrinsecamente bianca.”
Perché la matrice della violenza è intrinsecamente umana. Purtroppo. Io chiudo così, forse con una fretta priva di empatia, che altro non fa se non svelare tutta l’imperfezione della natura umana.
*Foto in evidenza: per rispetto nei confronti della vittima del brutale assassinio citato nell’articolo, non pubblichiamo alcuna immagine relativa all’episodio ma solo una immagine di violenza stilizzata.