“La cosa più bella e quando ho modo di andare a trovare le mamme a casa loro dopo le dimissioni. È un caffè bevuto a casa loro. È un brindisi alla riuscita loro e nostra. È il preludio di un legame fatto di foto che si guardano con stupore, di telefonate fatte alle feste comandate, di altri e nuovi traguardi conquistati”
Guardare al proprio lavoro, a cosa davvero significhi il mestiere della cura dell’altro, dell’attenzione verso i più fragili è per l’educatore di comunità un nodo imprescindibile. L’educatore, e più in generale colui che lavora nelle professioni d’aiuto, non è un lavoratore come tutti gli altri. Egli produce un bene intangibile ma al contempo fortissimo. Sanare le ferite dell’animo attraverso la relazione quotidiana, riallacciare nodi, sostenere gli ospiti nelle loro competenze, anche quelle che pensano di aver perso o di non avere mai avuto.
Un percorso difficile che scava nell’animo degli ospiti che, a volte, crea tensione, che lascia il segno anche nel profondo dell’educatore. Non lasciamo mai andare via del tutto le persone con cui abbiamo lavorato. Restano sempre dentro di noi e, a volte, senza un vero motivo, qualcosa riaffiora.
Tutto questo magma di idee, ricordi, sogni, speranze, paure… è diventato, per i Nostri educatori, materiale di formazione.
Un percorso reso possibile dalla grande esperienza di un Maestro d’eccezione, Mimmo Sorrentino, docente di Teatro Partecipato presso la scuola Paolo Grassi di Milano, conduttore di stage di alta formazione e laboratori rivolti alle fasce deboli della popolazione e nei contesti di aiuto, autore di svariati testi tra cui “Che tutto sia bene” presentato durante la rassegna Book City.
Il percorso di teatro partecipato mira a fare emergere strumenti di conoscenza di se stesso nell’educatore per arrivare alla consapevolezza delle proprie emozioni e di quanto esse incidano sulla relazione con le persone di cui si occupa.
Gli educatori coinvolti nel percorso sono stati condotti attraverso un viaggio che li ha portati a indagare sui loro vissuti, sui momenti più forti della loro esperienza lavorativa, fino alla messa in scena di un’elaborazione di questi sentimenti che, all’interno del meccanismo della drammatizzazione diventano paradigma del “mestiere dell’educare” e “dell’essere educatore”
In una atmosfera densa di sentimenti ed emozione gli educatori hanno portato in scena lo spettacolo ideato insieme la sera del 9 giugno nel giardino della nostra sede di via Nicolò Jommelli.
Attraverso la sapiente regia di Mimmo Sorrentino gli educatori hanno narrato il vivere quotidiano della comunità ma anche i sentimenti di gioia, soddisfazione, rabbia e frustrazione che emergono fortemente in chi ora dopo ora, giorno dopo giorno si accosta alla vita degli Altri. Perché educare significa anche mettere in gioco la propria vita: perché non esiste nel rapporto educativo un “Dentro” e un “Fuori”, tutto si mischia, tutto entra nel gioco delle parti di quel palcoscenico che è la vita.
“Lavoro all’asilo Mariuccia dal 2006. Allora avevo ventiquattro anni. Nel mio primo mese di servizio ho lavorato sempre nel turno di notte con il compito di monitorare una ragazza che spesso rientrava in comunità ubriaca o in forte stato di alterazione. Aveva provato a gettarsi dal balcone e sfondare una porta a vetri. Così passavo la notta nella stanza a fianco con la porta aperta, smontavo alle nove del mattino, tornavo a casa a dormire e, al risveglio, ritornavo in comunità. Così per un mese […]. Durante quel mese la ragazza non diede grandi problemi, mi ricordo che mi sentivo felice”
“Data di assunzione 1/10/1996. Una mamma con quattro bambini resta incinta mentre è in comunità. Il bambino nasce, la madre è in grado solo di dargli il biberon all’interno della carrozzina, senza mai prenderlo in braccio e lo cambia solo quando se ne ricorda. Inizia il maternage da parte di tutti noi educatori, Io sono appena rientrata da un periodo di malattia, ero incinta, ho avuto un aborto spontaneo. Dopo sei mesi si decide per l’adozione di entrambi i bambini. […] a me il compito di accompagnare il neonato in comunità […]”
Un grande grazie a tutti gli educatori delle nostre comunità che hanno saputo mettersi in gioco e che ci hanno regalato una serata di intensa emozione e bellezza. Che hanno dedicato tempo e passione, limitando anche il loro poco tempo libero per fare sì che questo progetto diventasse realtà.
Il teatro è un luogo sacro, dove la vita, la memoria e il sentimento si incontrano. L’educazione è un mestiere unico, incredibile, difficile e meraviglioso. L’unione delle due cose dona sensazioni indescrivibili e immense.
Le riprese, ad opera del regista e sceneggiatore Bruno Oliviero (fresco di David di Donatello per la sceneggiatura del film Ariaferma), diventeranno un film che verrà presentato al 120° anniversario della Fondazione Asilo Mariuccia.
Fonte: Ufficio stampa Fondazione Asilo Mariuccia