Cari viaggiatori di Farecultura ho già recensito tempo addietro una nota ‘locanda’ piemontese e se mi seguite nei miei scritti avrete notato che parlo poco di cucina, questo non perché non sia una buona forchetta ma perché, solo se particolarmente soddisfatto, enuncio storie di culinaria.
Del resto non credo che si possa solo gustare ottimi piatti frequentando i noti e blasonati locali enunciati recentemente anche da The World’s 50 Best Restaurants 2021 o i primi 100 della arcinota Guida Michelin.
Scoprii casualmente a pochi chilometri della mia abitazione questo insospettabile tempio della ristorazione che architettonicamente non destava sospetto alcuno sul pregevole uso della cucina.
Il nome del locale corrisponde a questa particolare frazione di Sant’ Angelo Lodigiano ed è interessante scoprire che nella mappa del catasto teresiano del 1723 è citata come “casa da massaro affiancata da due orti”, intestata ai conti Giovanni Battista e Giovanni Giacomo Bolognini. Nello “Stato d’Anime” parrocchiale del 1801, sono censiti proprietari dei fondi i conti Giacomo, Filippo, Ildefonso e Alessandro Bolognini. Le successioni dei Bolognini proseguono fino all’anno 1887 quando la “casa colonica e fabbricato urbano” risulta appartenere al conte Gian Giacomo Morando De’ Rizzoni Attendolo, ultimo feudatario.
Entrai discretamente per l’ora di pranzo, antecedentemente alla triste vicenda pandemica, e notai subito un ambiente pulito e raffinato con pochi tavoli egregiamente allestiti. Vi è anche da segnalare che nei periodi estivi si può pranzare all’esterno su una terrazza angolare sempre allestita piacevolmente.
Mi accolse subito con un ampio sorriso e un saluto di benvenuto la proprietaria la Signora Marisa Bertolini figlia del fondatore il Signor Luigi, raffinata e discreta giovane responsabile dell’attività che mi accompagnò al tavolo. Notai varie stampe elegantemente posizionate che raccontavano con immagini e testi la propria avventura ossia “il ristorante La Ranera è una attività di famiglia che risale al 1930 e vanta ad oggi il susseguirsi di ben tre generazioni di ristoratori”.
Cosa pregevole ritengo sia stata organizzare il pranzo dal lunedì al venerdì, con un prezzo fisso con scelta tra primi, secondi e contorni mentre la cena del sabato o della domenica, e il pranzo della domenica è rigorosamente ‘alla carta’ con più rilevante ricercatezza e con evidente dimostrazione di notevoli doti dello che
Tornai più volte anche appunto di domenica per ‘verificare’ la continuità dell’impegno e soprattutto per allietare il mio palato, riscontrando sempre particolare dedizione all’opera dei ristoratori, professione per la quale non tutti sono predisposti.
Entrando nel merito della cucina va preliminarmente detto che i piatti proposti sono ispirati alla tradizione locale lodigiana; i menù spaziano dalle paste fresche fatte in casa agli arrosti, al pesce. Buoni e delicati i dolci, lista dei vini e dei distillati sono di tutto rispetto.
Da provare la guancia di manzo a lentissima cottura, otre le tre ore, affogata in noto rosso piemontese doc gremolada di verdure e sofficissima crema di patate, piatto unico e completo, ben aromatizzato e certamente con carne di taglio tenerissimo.
Un primo piatto da gustare sono le tagliatelle caserecce di farina di castagne con ragù di cervo alle bacche di ginepro, che risulta privo di altre carni e la dolcezza e la leggerezza del cervo conferiscono alle pappardelle un sapore delicato e invitante.
Ovviamente le proposte alla carta si diversificano nel tempo ma denotano sempre una grande scelta di accoppiamento tra carni o pesci con verdure, mentre i dessert realizzati dallo chef sono sempre particolarmente curati e delicati.
Insomma una domenica nelle campagne lodigiane non può escludere un pranzo unito al giusto relax e comunque i nostri nonni la sapevano lunga … a tavola non si invecchia, mentre si gusta un buon pranzo si dimentica che il tempo passa.