Malgrado le tante tempeste e altrettanti naufragi, noi intimamente siamo rimasti degli inguaribili idealisti.
Strano destino, nessuno di noi è rimasto nel paese in cui siamo cresciuti. Il “Gatto verde” non è più il nostro luogo d’incontro, e d’altra parte come potrebbe più esserlo. Bar posto alla fine o all’inizio dell’ex Via Vittorio Veneto nel nostro paese fu luogo di incontro tardo pomeridiano di 4 e più amici che non si rassegnavano alle rassegnazioni di una vita ordinata e ordinaria di un paese tranquillo dove l’odio politico quando si manifestava arrivava da fuori o attraverso i telegiornali.
Marcello, Gianni, Alfredo detto Bartolo e io.
Eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo …”
Sono cresciuto a pane e parole, sono cresciuto nell’esempio di chi mi ha preceduto, sono cresciuto canticchiando superati ritornelli che ancora abitano nella mente e ritornano con accenni di mai dimenticate strofe e marcette.
L’esperienza e la quotidianità mette a dura prova la voglia di comunicare, non è questione di poca volontà è più spesso il “rumore” delle parole che non portano a nulla. A chi dovesse incuriosirsi, a chi dovesse chiedermi “cosa significa?” , gli direi: sai che si fa, te lo racconto al bar.
Col passare del tempo l’idealismo giovanile si attenua, i tuoi compagni di viaggio si sono fatti una vita propria, una famiglia, si sono impigriti o peggio si sono concentrati solo sul proprio personale successo.
Non è così per tutti noi, le cose sono cambiate, ma, malgrado le tante tempeste e altrettanti naufragi, noi intimamente siamo rimasti degli inguaribili idealisti.
Il ritorno a 4, nelle mie divagazione, è l’arrivo di una nuova generazione di inguaribili idealisti, che col passare del tempo finiranno come i loro predecessori a occupare poltrone dentro i palazzi del potere o a guardarne dal di fuori le finestre.
Se dovessi parlare delle nostre vite separate direi che recitiamo contemporaneamente in luoghi diversi usando parole colte, ironiche o di denuncia, in piedi, su un palco o su una sedia come da bambini a raccontare e a rafforzare il significato simbolico che ribadisce il profondo legame con una idea di illusoria appartenenza a un mondo che avremmo voluto.
Nulla è più comune del lamento per l’irrealizzabilità degli ideali, specialmente quelli della gioventù che dalla fredda realtà finirebbero per essere consegnati alla categoria dei sogni.
Nel viaggio della vita, gli ideali possono naufragare e finire per essere rimossi o peggio finire confinati in quel limbo del vorrei ma non posso.
Le conversazioni fra i 4 ragazzi di allora, fuori dall’accademismo e dal rispetto per i formalismi si ripetono con il rituale di sempre, una o due volte l’anno, quando capita, al bar o sul lungomare dove le rivoluzioni e i cambiamenti si teorizzano in battute ad effetto e senza ingenue esaltazioni per finire a un più ragionato scambio di esperienze di vita e di amarezze nel tentativo di recuperare i tempi del non incontro.
La sensazione è quella di sentirsi proiettati indietro al tempo dei peripatetici che passeggiando ponevano ai loro maestri domande sui grandi temi dell’esistenza. Tra di noi tutto si basa sul dialogo con il consultante per accompagnarlo nella ricostruzione della sua visione del mondo. Nasciamo senza volerlo in un mondo già fatto da altri, che non è che ci piaccia gran che, questo ci porta a chiederci che ci facciamo in mezzo a questo gran casino. In quelle ore si realizza il piacere di fare qualcosa che non porterà a niente, con la consapevolezza che poi ognuno si allontanerà con le proprie miserie o ricchezze. Il tutto non si esaurisce con una stretta di mano, un fatti sentire e un ci vediamo suggella un arrivederci come se fossimo eterni, intanto mentre tardo ad allontanarmi da quel mio importante pezzo di vita una nota canzone mi torna in mente:
Sono qui con quattro amici al bar
che hanno voglia di cambiare il mondo…
“E poi ci troveremo come le star
a bere whisky al Roxy Bar
o forse non ci incontreremo mai
ognuno a rincorrere i suoi guai”