L’esposizione segue la tappa francese ospitata al Musée du Luxembourg e presenta oltre 250 immagini, molte delle quali inedite o rare, come quelle a colori, oltre a video Super 8 e oggetti personali della fotografa americana. Una sezione è dedicata agli scatti, mai visti prima, realizzati durante il suo viaggio in Italia, in particolare a Torino e Genova.
Dal 9 febbraio al 26 giugno 2022, le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la mostra di Vivian Maier (1926-2009), una delle massime esponenti della cosiddetta street photography.
Fin dal titolo, Inedita, l’esposizione che giunge in Italia dopo una prima tappa al Musée du Luxembourg di Parigi (15 settembre 2021 – 16 gennaio 2022), si prefigge di raccontare aspetti sconosciuti o poco noti della misteriosa vicenda umana e artistica di Vivian Maier, approfondendo nuovi capitoli o proponendo lavori finora inediti, come la serie di scatti realizzati durante il suo viaggio in Italia, in particolare a Torino e Genova, nell’estate del 1959.
La mostra, curata da Anne Morin, è co-organizzata da diChroma e dalla Réunion des Musées Nationaux – Grand Palais, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, e sostenuta da Women In Motion, un progetto ideato da Kering per valorizzare il talento delle donne in campo artistico e culturale. L’esposizione presenta oltre 250 immagini, molte delle quali inedite o rare, come quelle a colori, scattate lungo tutto il corso della sua vita. A queste si aggiungono dieci filmati in formato Super 8, due audio con la sua voce e vari oggetti che le sono appartenuti come le sue macchine fotografiche Rolleiflex e Leica, e uno dei suoi cappelli.
“La mostra – dichiara Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali di Torino, propone una parte dell’opera ancora sconosciuta di Vivian Maier, universalmente apprezzata dopo il ritrovamento dei suoi archivi nel 2007, e indaga le origini della sua poetica, legata soprattutto alla sua tipica e ormai iconica osservazione street, un tema chiave oggi frequentato e condiviso anche tramite i social media da fotografi di diversa cultura ed estrazione. La strada come attualità e contemporaneità, e, accanto, l’itinerario privato di una donna alla ricerca della sua identità”.
“Vivian Maier – afferma Anne Morin – è una fotografa amatoriale che cercava nella fotografia uno spazio di libertà; benché il suo lavoro sia passato inosservato per tutto il corso della sua vita, si ritrova nella storia della fotografia a fianco dei più grandi maestri quali Robert Doisneau, Robert Frank o Helen Levitt”.
“Dopo Capa in color – ricorda Edoardo Accattino, amministratore Ares srl – proseguiamo la nostra collaborazione con i Musei Reali. Così come per Robert Capa, anche in questa mostra abbiamo voluto raccontare al pubblico gli aspetti meno noti di un grande fotografo. Con orgoglio apriamo la prima grande retrospettiva dedicata a una delle maggiori esponenti della street photography, attraverso un percorso che unisce fotografie, filmati e audio, strumenti complementari che permetteranno di scoprire un nuovo aspetto della produzione di Vivian Maier e la sua continuaricerca nello studio dell’immagine”.
Il percorso espositivo tocca i temi più caratteristici della sua cifra stilistica e si apre con la serie dei suoi autoritratti in cui il suo sguardo severo si riflette negli specchi, nelle vetrine e la sua lunga ombra invade l’obiettivo quasi come se volesse finalmente presentarsi al pubblico che non ha mai voluto o potuto incontrare.
Una sezione è dedicata agli scatti catturati tra le strade di New York e Chicago. Vivian Maier predilige i quartieri proletari delle città in cui ha vissuto. Instancabile, cammina per tutto il tessuto urbano popolato da persone anonime che davanti al suo obiettivo diventano protagoniste, anche per una sola frazione di secondo, e recitano inconsciamente un ruolo.
Le scene che diventano oggetto delle sue narrazioni sono spesso aneddoti, coincidenze, sviste della realtà, momenti della vita sociale a cui nessuno presta attenzione. Ognuna delle sue immagini si trova proprio nel luogo in cui l’ordinario fallisce, dove il reale scivola via e diventa straordinario.
Mentre cammina per la città, Vivian Maier a volte si sofferma su un volto. La maggior parte dei visi che scandiscono le sue passeggiate fotografiche sono quelli di persone che le assomigliano, che vivono ai margini del mondo illuminato dall’euforia del sogno americano. Parlano di povertà, lavori estenuanti, miseria e destini oscuri. Ognuno di questi ritratti, impassibile e austero, è colto frontalmente nel momento dello scatto. A essi fanno da contraltare quelli delle signore dell’alta borghesia, che reagiscono in modo offeso al palesarsi improvviso della fotografa.
Oltre ai ritratti, Vivian Maier si concentra sui gesti, redigendo un inventario degli atteggiamenti e delle posture delle persone fotografate che tradiscono un pensiero, una intenzione, ma che rivela la loro autentica identità. Le mani sono spesso le protagoniste di queste immagini perché raccontano, senza saperlo, la vita di coloro a cui appartengono.
Agli inizi degli anni sessanta si nota un cambiamento nel suo modo di fotografare. La sua relazione con il tempo sta cambiando, e il cinema sta già cominciando a insinuarsi e ad avere la precedenza sulla fotografia. Vivian Maier inizia a giocare con il movimento, creando sequenze cinetiche, come se cercasse di trasportare le specificità del linguaggio cinematografico in quello della fotografia, creando delle vere e proprie sequenze di film.
Come naturale conseguenza, Vivian Maier inizia a girare con la sua cinepresa Super 8, documentando tutto quello che passava davanti ai suoi occhi, in modo frontale, senza artifici né montaggi.
Un importante capitolo della mostra è dedicato alle fotografie a colori. Se da un lato, i lavori in bianco e nero sono profondamente silenziosi, quelli a colori si presentano come uno spazio pieno di suoni, un luogo dove bisogna prima sentire per vedere. Questo concetto musicale di colore sembra riecheggiare nello spazio urbano, come il blues che scorre per le strade di Chicago e, in particolare, nei quartieri popolari frequentati da Maier.
Non poteva mancare una sezione dedicata al tema dell’infanzia che ha accompagnato Vivian Maier per tutto il corso della vita. A causa della sua vicinanza ai bambini per così tanti anni, era in grado di vedere il mondo con una capacità unica. Come governante e bambinaia per quasi quarant’anni, Maier ha preso parte alla vita dei bambini a lei affidati, documentando i volti, le emozioni, le espressioni, le smorfie, gli sguardi, così come i giochi, la fantasia e tutto il resto che abita la vita di un bambino.
Nata a New York da madre francese e padre austriaco, Vivian Maier (1926-2009) trascorre la maggior parte della sua giovinezza in Francia, dove comincia a scattare le prime fotografie utilizzando una modesta Kodak Brownie. Nel 1951 torna a vivere negli Stati Uniti e inizia a lavorare come tata per diverse famiglie. Una professione che manterrà per tutta la vita e che, a causa dell’instabilità economica e abitativa, condizionerà alcune scelte importanti della sua produzione fotografica. Fotografa per vocazione, Vivian non esce mai di casa senza la macchina fotografica al collo e scatta compulsivamente con la sua Rolleiflex accumulando una quantità di rullini così numerosa da non riuscire a svilupparli tutti.
Tra la fine degli anni novanta e i primi anni del nuovo millennio, cercando di sopravvivere, senza fissa dimora e in gravi difficoltà economiche, Vivian vede i suoi negativi andare all’asta a causa di un mancato pagamento alla compagnia dove li aveva immagazzinati. Parte del materiale viene acquistato nel 2007 da John Maloof, un agente immobiliare, che, affascinato da questa misteriosa fotografa, inizia a cercare i suoi lavori dando vita a un archivio di oltre 120.000 negativi. Un vero e proprio tesoro che ha permesso al grande pubblico di scoprire in seguito la sua affascinante vicenda.
*Foto in evidenza di Vittorio Zunino Celotto/Getty Images For Kering
Fonte: Ufficio stampa Musei Reali Torino