È indubbio che il rapporto sessuale esista dal punto di vista empirico, ma che la sessualità maschile e quella femminile siano differenti ed espongano ad equivoci o malesseri è cosa risaputa, seppur non sempre superata.
“Non c’è rapporto sessuale”. È J.Lacan, in “Il seminario. Libro XX. Ancora. 1972-1973”, psichiatra, filosofo, psicoanalista di spicco della scena francese di secolo scorso. Lui gode del pezzo di corpo, lei gode della parola. Lui, ingombrato dal fallo, ciecamente assoggettato alla tirannia del dettaglio del corpo femminile, che rievoca nostalgicamente il primo oggetto d’amore (la madre), è piegato ad un piacere che tende a feticizzare la bellezza, escludendo il rapporto nella sua completezza. Lei, libera dalla schiavitù del fallo, ma fatalmente esposta ad una fragilità identitaria che la porta a cercare conferme del proprio essere nel desiderio di lui, finisce per essere schiava della propria domanda d’amore. Due idioti, sintetizza Lacan, entrambi persi nella propria “idiozia”.
Il movimento di uno verso l’altra sarebbe, dunque, solo apparente, un’illusione per sprovveduti romantici? Se ognuno gode solo del proprio godimento, il rapporto sessuale si declinerebbe in una ricerca ripetitiva fatta di una pienezza immaginaria, di fondo inattuabile? Tra le lenzuola sembrerebbe serpeggiare, allora, una verità scomoda: non è mai possibile fare Uno con l’Altra attraverso la sessualità. Gli amanti vivono un godimento sbriciolato, conservando una diversità incolmabile che impedisce loro di “fare rapporto”. Lui, più preso dal godimento dell’organo che dal godimento del corpo di lei, finisce per godere in modo autoerotico e lei, che pure conoscerebbe un godimento più ampio (l’“autre jouissance”, godimento esteso su tutto il corpo che vede uno sconfinamento inarrivabile per il maschio) si perde nell’ossessione della domanda d’amore: “Ma mi ami… ma quanto mi ami… ma mi ami davvero?”, risposta destinata a non saziare mai fino in fondo. Gli amanti finiscono per non incontrarsi mai. Scatto matto!
È insindacabile che tra i sessi viga una dissimmetria di fondo e che sia una questione altamente complicata a partire dall’incontro. Ad ogni nuovo inizio, prima ancora di imbattersi nel partner, il rapporto che frulla nella testa è strutturato inconsciamente da un fantasma tutto personale che detta le regole della seduzione, del piacere, dell’estasi, del possesso, della gelosia, dell’inibizione. Come pittori surrealisti, operiamo collage di fantasie con pratiche che portano la matrice di un fantasma interno, costruito su base inconscia a partire dai primi vissuti sessuali legati all’infanzia, a cui si mescolano le prime impressioni derivate dal modello fornito dalla coppia genitoriale. Nel rapporto sessuale si è sempre in 4, ognuno con il proprio fantasma, la sessualità infantile fissata sullo sfondo come un riflesso ingombrante nell’adultità.
Ciò comporta, inoltre, che l’anatomia non possa essere un destino: genitali maschili o femminili non raccontano alcuna verità sul proprio orientamento sessuale, né sulla propria identità di genere nel suo versante più intimo. Un pene non è sufficiente per sentirsi nel posto giusto in panni maschili, come una vagina non basta per aderire piacevolmente a quelli femminili. Se è certo che l’anatomia costituisca un condizionamento, è la mediazione soggettiva tra il dato anatomico e il condizionamento culturale a determinare l’orientamento sessuale. Ognuno, per altro, gode in modo “anormale”: siamo tutti “perversi polimorfi”, come ci chiamava Freud. La lussuria è condizione naturale nel rapporto con il nostro godimento ed inventare il proprio linguaggio del piacere, arricchendolo secondo una propria poetica, è alla base di una sessualità appagante.
È indubbio che il rapporto sessuale esista dal punto di vista empirico, ma che la sessualità maschile e quella femminile siano differenti ed espongano ad equivoci o malesseri è cosa risaputa, seppur non sempre superata. L’immaginazione, la cultura hanno da sempre alimentato poetiche illusioni e struggenti passioni circa il rapporto tra i sessi e, secondo le epoche, hanno anche definito il bene e il male, l’ammesso e il proibito.
Non è possibile toccare l’uno il godimento dell’altra, non è possibile fare Uno attraverso la sessualità…“eppure resta che qualcosa è accaduto, forse un niente che è tutto”, le parole di E. Montale a colmare le mie. Parlare d’amore è già un godimento. Perché l’amore conta ed è lui a fare la differenza. L’amore come ponte; è così che guardo all’amore. Entità miracolosa che rende possibile l’incontro tra i due, materia impalpabile in grado di rimpiazzare quella spaccatura nell’inconscio che avviluppa in un godimento monadico. Perché quando desiderio, godimento ed amore confluiscono in unico essere umano è estasi. Questo è il vero dono divino.
Sì, “mettersi ad amare qualcuno, è un’impresa. Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento… C’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa”, incalza J.P. Sartre (“La nausea”), trovandomi spossata, quanto d’accordo, ma per quanto l’incontro d’amore sia merce rara, rarissima, se accade è una Grazia. “Dopo di che non pare che l’amore sia cosa da poco: è Dio stesso”, C.G.Jung (“Simboli della Trasformazione”).
Gli esseri umani conoscono molto bene la difficoltà di tenere insieme il desiderio sessuale e l’amore: il secondo esige continuità, ma il primo vuole bruciare. Il nostro tempo, non a caso, esalta l’autonomia dell’Io, strizzando l’occhio ad un’indipendenza che non contempla l’Altro. Sperimentare una libertà priva di vincoli affettivi ha il sapore della disillusione, quando non della paura di cadere, ma vita umana vuole umanità diversamente perde di senso.
Perché il piacere sessuale continua ad essere una sorta di labirinto sconnesso? Eiaculazione precoce, frigidità, assenza di desiderio sessuale, di eccitazione sessuale, disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione, onanismo compulsivo, feticismo… Perché siamo entità complesse, fatte di passioni, emozioni, ricordi, vissuti, fantasmi, esseri sotto il giogo della pulsione sessuale che, per sua natura, è senza legge, sregolata, deviata, individuale, anarchica, iperedonista, perversa e polimorfa per dirla alla Freud, il che ci impone tragitti tortuosi. Con i suoi tratti eccessivi, il godimento scompagina, facendosi terra veemente ed inquietante al tempo stesso. “Esiste il rapporto sessuale?” di M.Recalcati, psicoanalista, un buon testo per fare chiarezza interiore.
Come sono fatte le coppie che funzionano? Tracciare l’anatomia della coppia che vince è un po’ come pretendere di avere la verità in tasca; lascia sempre il tempo che trova. Le coppie che conosco meglio sono quelle che negli anni ho visto passare nel mio studio. Mi hanno depositato “cose”, che io ho fatto mie; la bellezza della mia professione sta nello scambio.
Le coppie che ce l’hanno fatta sono quelle che non hanno demonizzato l’asimmetria di fondo, imparando a dialogarci con leggerezza. Quelle che hanno saputo accettare l’esistenza del “non-rapporto”, surfando sul mito della relazione totalizzante, valorizzandone l’assenza quale garanzia di libertà individuale. Quelle che hanno saputo imbeversi di una quota di distanza, accogliendo il valore del segreto. Quelle che non si sono fuse nell’eccesso di familiarizzazione, impedendo all’eros di agonizzare. Quelle in cui l’amato era, o è diventato, anche l’amante, ricerca di un erotismo appagante, apertura ad una nuova sessualità messa in discussione con coraggio. Quelle dove lei ha accettato di incarnare (giocosamente) l’oggetto del fantasma di lui, oggetto nelle mani dell’Altro ma profondamente soggetto del suo desiderio, e lui ha ricambiato con l’esclusività, affermazione che potrebbe suonare pietosamente maschilista, ma i segreti spesso si nascondono tra le pieghe della punteggiatura. Quelle dove lei ha lasciato al corpo la parola, rischiando l’assenza di vigilanza, abbandono all’Altro alla ricerca di quell’“autre jouissance che ha il potere di fare di un godimento esteso perdita dei confini. Quelle in cui gli amanti hanno imparato faticosamente a “stare da soli”, sbaragliando il mito delle due metà mela, perché “l’essere capace di godere di essere solo assieme ad un’altra persona, che è pure sola, è di per sé un’esperienza sana” (Winnicott, “Sviluppo affettivo e ambiente”).
Penso che l’amore possa essere supplenza ma mai completamento, tensione verso l’Uno ma mai Uno, possibilità di stabilire una relazione tra due entità sole per natura e destinate a rimanere tali nel profondo. In questo sta, tuttavia, la bellezza dell’amore: essere in rapporto con ciò che sfugge a ogni rapporto, essere nel Due senza possibilità alcuna di appropriarsi dell’alterità incarnata dall’Altro, alterità amata per quello che è nel suo reale dissimile e angoloso, alterità amata ad una certa distanza, elemento sempre necessario per riattizzare lo sconfinamento reciproco. Amore raro, rarissimo, che vale, tuttavia, tutto il rischio di esporsi senza riserve all’urto con l’alterità.