Un’occasione mancata.
La fragilità non è debolezza, ma può essere vulnerabilità. Gli esseri umani sono molto altro dalla propria vulnerabilità – è dal trauma che nasce la forza – ma a volte ci mettono una vita intera per superare il dolore di una ferita subita quando qualcuno ha fatto loro credere di non valere abbastanza, di essere sbagliati, inferiori, mancanti. La vulnerabilità non chiede necessariamente di essere dispensata dagli ostacoli della vita, ma certamente ha bisogno di essere “vista”. Non merita di sprofondare nel silenzio della resa. Solo chi è accecato da una concezione muscolare dello stare al mondo, può guardare alla vulnerabilità come ad una colpa, scambiandola perfino per petulante deresponsabilizzazione. La vulnerabilità non solo è condizione intrinseca alla natura umana, ma è anche parte essenziale della forza personale di un individuo, perché è capacità di riconoscersi un limite, consapevolezza della possibilità di subire una ferita e capacità di richiesta di aiuto. Rispondere alla richiesta di tutela della vulnerabilità è un gesto dovuto di pedagogia comunitaria, il cui oggetto è la ricerca di nuove forme di partecipazione sociale. La vulnerabilità è una carenza solo in un mondo che delira onnipotenza.
La minoranza sessuale, la minoranza della disabilità fisica sono più che mai esposte alla ferita. Il rischio maggiore è la ferita dell’insignificanza, quella che ti vorrebbe renderti privo di rilievo, attribuirti nessun peso. Ne deriva una sofferenza che mette l’anima in ginocchio. “Non essere ciò che sei!”, “non esistere!”, “non fare parte!” sono le ingiunzioni serpeggianti sottese, negazioni bestiali che squarciano il nucleo delicato che ci contraddistingue, fatto di corpo e di psiche, un nocciolo che non dovrebbe mai essere denigrato, svalutato, minacciato, pena il suo sbriciolamento in un milione di piccoli pezzi.
Forse la più devastante delle ingiunzioni è proprio la violenza del “non esistere”, che nega il permesso di essere con continuità e pienezza, disconoscendo l’originalità, chiudendo in una trappola asfittica. Ponendo gli altri nella posizione di giudici, condanna ad essere derisi, mettendo nell’impossibilità di sentire e di vivere la parità. Un bisogno famelico di approvazione muove un’attesa senza speranza e senza futuro.
Ma vita umana è vita libera e la libertà di essere solo ciò che si è è alla base dell’equilibrio interiore, come lo è la libertà di essere e sentirsi parte di un insieme, dove libertà sta per forma di connessione e solidarietà.
Ogni individuo è potenzialmente un disabile se messo in un contesto respingente che non ne apprezzi l’unicità. L’uguaglianza tra esseri umani non sta nell’offrire a tutti lo stesso trattamento, ma nel dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno. È questo l’unico modo perché un ambiente non si faccia barriera, bensì facilitatore.
Trovo grave il fatto che la salute emotiva degli esseri umani non riceva attenzione (dove c’è discriminazione c’è malessere psicologico), grave la svalutazione di una richiesta esplicita di inclusione (la garanzia dei diritti di tutti è uno dei modi per includere), grave la denigrazione di una fatica esistenziale legata a specifiche condizioni sociali (essere insultati, perseguitati, molestati, picchiati impunemente sono condizioni allarmarti).
Il DDL ZAN è stata un’occasione mancata: di evoluzione, di cultura, di dignità, di empatia, di cura delle ferite, di legittimazione di ciò che ognuno è senza se e senza ma, di tutela della psiche, di esserci. Simbolicamente era la possibilità di abbracciare la comunità intera, declinata in tutte le sue preziose peculiarità, esseri umani diversi ed unici, facendo dell’Italia un Paese che non tralascia, né affossa, ma stringe a sé, un Paese nel quale valga la pena vivere perché ha a cuore il sentimento di appartenenza, un Paese che elude l’arroganza di definirsi la Norma, sapendo andare oltre la propria misura del mondo, spendendosi nell’accordatura tra esseri umani.
Se al centro non mettiamo la vita umana, che fine fa quella? Il DDL ZAN era un’occasione di umanizzazione della vita. Occasione mancata.