Luciano Passoni ripercorre il suo personale rapporto con Vitaliano Marchini, attraverso un viaggio, anche ideale, nei luoghi che hanno segnato la vita personale e professionale del grande scultore melegnanese che, insieme ad altri grandi artisti, è stato protagonista dell’arte lombarda del secolo scorso.
Una cartolina: si presenta così Mergozzo al visitatore che arriva dalla strada sul lago. Superata l’ultima curva dopo il promontorio che lo nasconde alla vista appaiono, quasi all’improvviso, le case affacciate sulla piazza che le divide dall’acqua.
Colorate con cromie brillanti e pulite, tinte forti che diventano una sorta di acquarello nelle giornate velate di qualche nuvola. Il tutto si rispecchia nelle onde leggermente increspate dal vento che le accompagna ad accarezzare la sponda.
Abbiamo intrapreso un percorso marchiniano cominciato con lo studio e la lettura di quanto raccontato e scritto dagli studiosi che lo hanno conosciuto e apprezzato, da Cesare Amelli a Guido Oldani e non ultima Roberta Michelari, autrice di una tesi sullo scultore che l’ha laureata nel 1992. Nel 50esimo dalla scomparsa, avvenuta nel 1971, il nostro viaggiare vuole diventare occasione di toccare l’opera dell’artista melegnanese, non per analizzarne e spiegarne le forme, esercizio che lasciamo al linguaggio autorevole, sapiente e crudo dei critici e dei poeti, ma per vedere, lì dove sono posizionate, sulle strade, sui palazzi, nei musei, nei luoghi che raccolgono i ricordi, la memoria, le radici e il dolore del genere umano.
Una targa posta sulla facciata, in quella che fu la sua casa negli anni in cui scelse di vivere a due passi dalle Cave di Candoglia, il luogo che rilascia alla Veneranda Fabbrica il materiale per glorificare la magnificenza del Duomo di Milano, ricorda al mondo dei viandanti, nomadi o turisti che siano, l’orgoglio melegnanese di averlo avuto tra i suoi figli. Donata dalla Pro Loco di Melegnano nel 1974: …alle falde dei monti dai quali attinse la pietra da sublimare in arte…! Una presenza che è ancora ben viva, per lui che è stato fondatore e insegnante alla Scuola degli ornanisti del Duomo di Milano, e poi al liceo “Bellini” di Candoglia (ndr oggi ha cambiato denominazione).
Troviamo la cortesia del Sindaco Paolo Tognetti, e dall’assessora Emanuela Oliva, che ci riceve per mostrarci una statuetta proprio nel suo ufficio, mentre il piazzale adiacente al Comune è illuminato dal marmo rosa e granito della Madonna del Viandante.
Da questo angolo, posto sulla strada del fondo Toce, affidati a tanta protezione, ci sarà lieve la strada del ritorno per un diario di viaggio con ancora pagine da scoprire. Se Mergozzo ha rappresentato il punto intermedio della vita di Marchini, Melegnano è il suo inizio e la sua fine. Qui nasce e qui lascia la sua vita terrena e, pur vivendone sempre lontano, sono molti i suoi ricordi artistici che troviamo disseminati per la città. La Basilica Minore di San Giovanni Battista accoglie i fedeli con il Battesimo del Gesù sulla lunetta del portale, mentre all’interno la via Crucis in bronzo circonda le loro preghiere.
Il giardino della stessa è impreziosito dalla statua del San Giovanni Battista. Non è esente la Chiesa del Carmine dalla sua presenza con una Madonna in marmo ne ingentilisce la facciata e alcuni bronzi arricchiscono l’interno.
Il sentimento religioso delle sue opere si riversa anche su costruzioni civili quali le case popolari disposte sulla via San Francesco, all’angolo con la via Pio IV, dove un rilievo in bronzo del Santo con il lupo di Gubbio onora il quartiere.
Molti sono i lavori distribuiti nelle case private mentre nel cimitero cittadino non può sfuggire, neanche all’occhio più distratto, il monumento ai partigiani e altro su tombe private. I luoghi del dolore, della memoria e del ricordo sublimano l’arte, per questo non potevano mancare alcune sue opere al Monumentale milanese, quali una maternità e alcuni crocifissi in vari riparti. La maestosità del Duomo di Milano accoglie l’ultima parte del nostro viaggio. Arriviamo in una giornata splendida, il sole crea ombre che danno rilevo alla lucentezza della facciata. Visitiamo l’interno passando, per casualità, al cospetto del monumento funebre del Medeghino, che rappresenta la storia di Melegnano, quasi a ricordarci che in fondo il Marchini è rimasto nell’intimo e nell’essenza sempre legato alle sue radici native.
All’interno del tempio troviamo sulla destra dell’altare maggiore la statua di San Bernardo, da lui realizzata nel 1938-39. Posta sul capitello del pilone P76, non è agile alla vista, ci aiuta una immagine resa disponibile dall’archivio della Veneranda Fabbrica.
L’opera ha uno stile molto classico, quasi che l’autore non abbia voluto stravolgere l’equilibrio di quanto già presente.
Affrontiamo gli scalini a goderci una salita che non conosce fatica ma la serenità di un omaggio a questo gigante di marmo. L’aria soffia con una leggera brezza, un sussurro che cammina tra le guglie, passa negli anfratti, scivola sul marmo ad accarezzarlo, la nostra vista è immersa nel bianco e nel panorama di Milano che abbraccia il tempio con la sua skyline. La statua dell’Arcangelo Gabriele, realizzata nel 1940, ha un aspetto decisamente più moderno, per l’epoca, lineare, semplice e ancora oggi attuale. L’opera svetta sulla guglia, la G20 sul transetto nord, in solitario: un uomo ha pestato su quel materiale, le ha tolto il “superfluo che la ricopriva, facendone emergere l’essenziale”, così dice lo stesso Marchini che si definisce, sulle pagine dello stesso diario “scultore per tutta la vita”. Un uomo che è stato ed è rimasto sempre l’artista che ci ha fatto conoscere la poesia delle forme, sottratte alle viscere della terra e portate al cospetto del creatore.
Luciano Passoni