“Quest’ora è sacra, caro figlio, io vado a riposare” nel dopo pranzo con queste consumate parole si congedava il mio vecchio padre.
Si ha il tempo per pensare quando ci si estranea dalla ordinata e ordinaria quotidianità della metodica vita di chi vive in “alta Italia”. Al nord non si usa, nel mio sud si usa ancora.
Non sono sicuro che un non-meridionale possa capire che cosa sia la controra. È l’ora del silenzio, in cui ogni rumore echeggia amplificato, come in una scatola vuota. Dopo mangiato, quando arriva il tempo del nulla, chi poteva si buttava senza remore nelle braccia di Morfeo. Da dove io provengo e dove sono nato la controra dovrebbe essere portata agli onori degli altari come “Santa Controra” e adorata in processione come i Santi veri. Al paese, quando tornavo a trovare mio padre, il rito del riposo nel dopo pranzo era “vangelo”, io stranamente diventavo nordico e non dormivo, chi ci riusciva? Nella mia testa continuavano a girare domande senza risposte. “Quest’ora è sacra, caro figlio, io vado a riposare” così si avviava verso la sua stanza sempre più malfermo il mio vecchio padre.
La controra (dal latino contra horas, cioè ore contrarie) richiama alla mente la “siesta”, parola derivante dal latino sexta hora cioè l’ora sesta degli antichi Romani. Cosa fare all’ora? Chiamare qualche amico che non fosse occupato diventava un’impresa, la risposta sarebbe stata: “a quest’ora? dai ci vediamo a una certa ora questa sera”. Provavo a leggere, provavo tutte le più strane posizioni da kamasutra del riposo, nulla. Devo dire che a Milano per consolidata abitudine dedicavo, quando ancora lavoravo, la pausa pranzo al riposo, sempre, anche d’inverno. Un rito, un’abitudine a cui non ho voluto rinunciare e che suscitava nei miei colleghi e collaboratori una certa invidia e curiosità. Come fai, mi chiedevano. Qualcuno aveva provato a imitarmi, bisogna nascerci, il sonno breve è il risultato di una ereditarietà genetica e di una filosofia di vita antica e per certi versi saggia. Come spiegare a chi non è nato al sud cosa rappresenti per noi l’idea della controra. E’ un termine dialettale che indica le prime ore del pomeriggio, soprattutto quello estivo, dedicato dai salutisti dell’anima e del corpo al riposo. In questo spazio si ha la possibilità di riflettere e di lasciarsi andare all’otium, il silenzio è inteso non come conseguenza, ma come uno stato di attesa, di ricarica, una sorta di pre-occupazione che segue a questa interruzione.
E’ un rito, una adesione quasi religiosa alla estraneazione dalla frenesia della giornata, è una dilatazione del giorno conseguente all’esigenza di rallentare o cessare ogni attività, il tempo sembra non andare così in fretta come dicono, se si pratica questa disciplina. La controra è il momento in cui cessa il tempo delle occupazioni é una pratica che per chi è nato al Nord è percepita come qualcosa di strano ed estraneo, forse perché si troverebbero ad affrontare l’horror vacui del “e adesso che faccio?”
Ricordo in una delle mie fughe giù nella mia terra, saranno state le tre del pomeriggio, un pomeriggio d’inizio estate decisamente caldo, usci di casa, mi accolse una città semideserta, pochi i bar aperti e tutt’intorno l’indolenza della provincia meridionale. E’ un momento cruciale della giornata, poche le macchine, pochissimi i passanti, un gatto si stiracchiava al sole e mi guardava stupito, nella sua piccola testa avrà pensato: “questo è “frastiero”, a quest’ora dove và? È tutto chiuso”, è il dopopranzo, tutto apparentemente era fermo, una voce fuori campo mi convince che poi non sono solo. Arrivo in pochi minuti alla villa comunale, le uniche presenze sono i mezzi busti marmorei di illustri eroi e grandi del passato. Davanti a un’associazione di ex combattenti, fermi, quasi immobili statue viventi, due anziani si guardano senza parlare, a un tratto come a parlarsi addosso uno dice: “ a quest’ora a casa di mio figlio è tutto tranquillo”.
Una bottega di barbiere è aperta, lo conosco, entro lo saluto e gli chiedo: “maestro a quest’ora a bottega”, non si scompone, mi guarda e mi risponde: “sono aperto, ma sono chiuso”, mha!. Passo oltre, l’obiettivo è arrivare al porto, li voglio godermi il rientro delle barche e andare sino in fondo al molo nuovo per sentirmi in mezzo la mare, infine, lontanissimo, il Gargano, che nelle giornate più limpide si mostra in tutta la sua magnificenza. Mentre cammino spedito, fotografando come farebbe un turista angoli del mio paese, passo davanti ad antichi Palazzi che pure ho frequentato e penso: “chi sa se Don ….. è ancora vivo e le figlie che proprio Veneri non erano, si saranno sposate, ma certo che si con quel patrimonio di famiglia si saranno sicuramente accasate. E’ la controra, forse dorme anche una consolatrice di cuori solitari che un tempo esercitava la più antica arte. Mi fermo davanti ad un’edicola votiva, dentro i nostri tre Santi protettori, una lucina e fiori di plastica, percorro le antiche vie e viuzze del Borgo Antico, non tutto è in ordine, dai bassi arrivano odori di ogni genere, musiche esotiche e sulle cassette postali nomi da altri luoghi del pianeta raccontano di come convivano nuove e vecchie storie di povertà; Moruccio, Lillino, Marì, Sergin …. sono rimasti in pochi ad abitare le vecchie pietre, hanno avuto la casa popolare o sono emigrati. Sulla parte alta della città vecchia che si affaccia sul porto c’è ancora e non potrebbe essere diversamente un gradino in pietra dove io e alcuni altri amici ci appiattivamo il fondo schiena a parlare del nulla per interi pomeriggi. Vedo il mare e riacquisto il buon umore, la controra non dura in eterno, si sono fatte le cinque del pomeriggio, tra qualche mezzora il paese sarà tornato più vivo e animato di una grande metropoli che già alle sette di pomeriggio comincia ad abbassare le cler dei negozi mentre da noi allora si aprono, le urla da muezzin che ascolto passando dal mercato del pesce mi avvisa che il paese si è ridestato e che tra non molto mi sottoporrò al rito dello struscio serale. Un altro mondo.