Se la pandemia ci ha messo di fronte a solitudine e fragilità, ci ha fatto anche scoprire che solo le relazioni ci salveranno.
L’emergenza pandemica ci ha fatto fare i conti con solitudine e fragilità: la fragilità si è rivelata con la malattia e il timore di esserne vittime, la solitudine, tra lockdown e coprifuoco, ci ha allontanati dai classici luoghi di socializzazione e di educazione alla socializzazione come scuole e uffici, nonché dai familiari (penso ai nonni isolati dai nipoti per essere protetti).
I contagiati, poi, hanno avuto modo di sperimentarla in pieno, chiusi in ospedale o nelle loro stanze, impossibilitati a qualsiasi contatto umano diretto. La solitudine peggiore è stata quella dei ricoverati nelle terapie intensive, che al massimo beneficiavano del sorriso di qualche infermiere.
E tutti abbiamo sofferto il venire meno di ricorrenze, festività, festeggiamenti, abbracci, strette di mano, carezze.
La rete ha cercato di sopperire creando un collegamento virtuale quanto meno per scambiare notizie, informazioni e consentire una video-chiamata. Ma chi non ne poteva disporre ha vissuto davvero la solitudine totale. Se, per qualsiasi motivo, non hai lo smarphone, non riesci neppure ad iscriverti sul portale della tua regione per il vaccino, diventi invisibile, perché privo di ogni collegamento, impossibilitato a far presenti le tue esigenze. Purtroppo se non hai uno smartphone non sei neppure una persona. E così le solitudini si sono moltiplicate.
Ma se la pandemia ci ha resi fragili, la relazione ci renderà forti.
La vulnerabilità va intesa non solo come precarietà o debolezza ma anche come opportunità di mostrare le migliori energie. La fragilità con cui la pandemia ci ha resi deboli deve farci riflettere sul senso delle relazioni in un mondo in cui le minacce diventano globali e i meccanismi per prevenirle vanno gestiti e armonizzati in modo globale o comunitario. L’autosufficienza o l’autoreferenzialità diventano fuorvianti dato che mai come ora è opportuno aprirsi all’incontro con l’altro sviluppando sentimenti di fiducia.
Solo l’amore, declinato nelle relazioni umane, può farci attraversare la sofferenza, la malattia, la solitudine, solo l’amore ci può salvare. E l’amore ha piccoli strumenti quotidiani per manifestarsi e compiere i suoi miracoli: un semplice saluto, il ricordo di chi non si considera da tempo, il perdono, un sorriso, un gesto affettuoso, una sorpresa sotto forma di telefonata o di un dono.
L’amore previene i desideri o le necessità.
Insomma, il Covid ci ha fatto riscoprire che la nostra umanità si realizza nell’amore e nell’incontro con l’altro.
E anche nell’abbracciarsi ancora, oltre i rigori e i protocolli della pandemia, quando si tornerà alla normalità.