Giganti dai piedi d’argilla, la loro supposta superiorità ha la stessa consistenza di un castello di sabbia.
Confesso che mi è capitato specchiandomi durante il rito della rasatura e della vestizione di non riconoscermi subito, a volte quasi a voler lanciare un guanto di sfida ho chiesto a l’altro posizionato dall’altra parte dello specchio chi mai fosse. L’immagine riflessa ogni volta mi sorride e con benevolenza mi ricorda che non sempre ci accompagniamo, ma, che ogni giorno facciamo esattamente le stesse identiche cose e non sempre, come accade specchiandosi, le riconosciamo subito come nostre. Già tra un me e un me stesso c’è una non immediata riconoscibilità, succede nei tanti incontri dopo strette di mano e un “piacere di conoscerla” di chiedersi “chi sa veramente chi è l’altro?”.
Diverse volte per evitare imbarazzi ho assecondato persone che incontrandomi mi hanno salutato confidenzialmente e obbligandomi per educazione ad ascoltare storie e episodi raccontati come esperienze condivise, di cui si avevo tracce nella memoria ma proprio chi avevo di fronte non me lo ricordavo, mi hanno messo nell’imbarazzante condizione dopo il commiato di rispondere alla domanda “chi è ?” rivoltami da chi mi accompagnava con un: “lui sa chi sono io, ma io non so chi è lui”. Rimproverato benevolmente per queste mie perdute memorie non mi resta che rispondermi sottovoce: “già faccio fatica a comprendere chi sono io, figuriamoci poi a capire chi siano gli altri”. Mi sono fatto convinto che è meglio un sacro dubbio sull’interlocutore piuttosto che erigere muri di fredda incomunicabilità. Mi torna in mente un episodio di cui mi trovai a essere protagonista durante la presentazione di un mio libro a Crotone, una nobildonna del luogo molto avanti negli anni mi si fece incontro e abbracciandomi mi disse: “Carissimo Giuseppe, lei è sempre brillante il tempo pare non averla sfiorata” subito non capì l’equivoco, alla fine della conferenza la signora volle ancora salutarmi, mi ricordai allora che in Calabria, dove mi trovavo, era vissuto un altro e più importante Giuseppe Selvaggi, un poeta e giornalista parlamentare per “Il Tempo” ed “Il Messaggero” e direttore delle riviste culturali “Idea” e “Pianeta” e della rivista d’arte “Il Patio”, non potetti fare altro che rispondere alla mia “ammiratrice”: “Carissima Signora, sono come lei ben sa e come recitano le locandine d’invito Giuseppe Selvaggi, sono io ma non sono io” ovviamente generando un qualche disorientamento che fu interpretato probabilmente come stravaganza d’autore.
Lei non sa chi sono io
Non so per quale strana ragione mi è tornata in mente questa desueta espressione verbale, credo mi sia riaffiorata a proposito di un incontro con uno dei tanti eletti grazie alle alchimie delle diverse riforme elettorali attraverso le quali voti scegliendo di non scegliere chi ti rappresenterà e incontrandolo se mai dovesse scorgere dei dubbi dalla tua mimica facciale o peggio dalla tua indifferenza potrebbe candidamente chiederti “Lei forse non sa chi sono io”. Dietro questa domanda che presuppone, a seconda di come viene rivolta all’interlocutore, una certa presunta o supposta potenza economica, sociale o politica, senza che io provi a dare prove provate di quanto penso, credo ci sia il bisogno di un piedistallo e di un’auto affermazione di chi ha la necessità psicologica di provare a marcare come fanno gli animali un territorio nei più diversi campi del potere così facendo esercitare anche su se stessi un auto convincimento. Vero è che in maniera non sempre nascosta ognuno crede di “poter essere” e per crederci sino in fondo si industria per mostrare agli altri, attraverso eccessi e ostentazioni, quello che in fondo non è se non nelle apparenze; cambiano i linguaggi non cambia la finalità ultima che sta tutta nella ricerca di una auto esaltante esigenza di supremazia.
Avendo vissuto a cavallo di due secoli e avendo incrociato i più diversi esemplari del genere umano credo di poter affermare, senza scoprire nulla di nuovo, che l’ironia e l’autoironia sono le migliori armi di cui possiamo far uso per sopravvivere e neutralizzare la prevalenza del supponente; questo esemplare, modificatosi per adattamento ai cambiamenti sociali ha un piccolo serbatoio di pensieri e frasi fatte a cui attinge per darsi tono e importanza a tal proposito mi tornano in mente alcune strofe di una canzone di Nino Manfredi che ogni tanto a modo di sfotto canticchio quasi fossi un ventriloquo:
Quando un re cattivo seppe di essere malato
Disse a trenta medici: “Io devo essere curato!”
Ma non c’era medicina che potesse fare effetto
ed il re lasciando il letto su nel cielo se ne andò
Ma arrivato in Paradiso non lo fecero passare
e lui s’incavolò
Lei non sa chi sono io!
Lei non sa chi sono io!
Lei non sa chi sono io!
E San Pietro lo guardò, gli rispose: “Si, lo so…
Sei un cretino!”
E all’inferno lo mandò
E la morale della storia l’hai capita?
E come no: non ti montare mai la testa nella vita.
Lei non sa chi sono io!
Lei non sa chi sono io!
Imbattersi in chi ha la necessità vitale per sentirsi qualcuno pronunciando il “lei non sa chi sono io” o peggio sostituendola con il «lei non sa cosa ho fatto io» è un’esperienza pedagogica utile non fosse che per evitare di cadere nella stessa, ridicola condizione.