Un viaggio nell’inferno del lager e della Shoah, nella ferocia dell’uomo e nell’umiliazione. Uno smarrimento esistenziale e spirituale fuso con la lotta per uscire da un incubo, nella speranza di tornare a rivedere la vita.
Danio Manfredini porta al Piccolo Teatro il suo ultimo lavoro, Nel lago del cor, titolo mutuato dal primo canto dell’Inferno di Dante (“Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta”) in cui il poeta descrive la paura e l’angoscia provate nella “selva oscura”.
Un luogo dell’anima per Dante, luoghi fin troppo reali quelli descritti nello spettacolo di Manfredini: i lager che rappresentano la ferocia dell’uomo, simboli di terrore e sofferenza, di quello smarrimento esistenziale e spirituale mai provato altrove.
Un deportato, durante la “marcia della morte”, ripercorre sfinito le esperienze drammatiche che ha vissuto nel campo. Come un fantasma, si fonde alle immagini del lager e rientra in un incubo fatto di miseria, morte, pioggia, neve, freddo, paura. Le parole del deportato sono stralci di dialoghi, frasi salvate dalla memoria, suoni in lingue diverse, di una strana Babele e si intrecciano alle canzoni del soldato liberatore che, come un angelo, lo accompagna in quell’inferno.
«Dedico questo lavoro ai sopravvissuti perché le loro parole sono state una guida e lo dedico come un requiem, a tutti coloro che sono morti in quei lager senza lasciare traccia». La musica, composta ed eseguita dal vivo da Francesco Pini, le immagini e i movimenti si uniscono alle parole nel lavoro di Manfredini. «È il tentativo di raccogliere in questa rete di emozioni una traccia di quell’esperienza umana attraverso i poveri mezzi del teatro».
Fonte: Ufficio stampa Piccolo Teatro Milano