Un’ampia retrospettiva a un grande interprete internazionale dell’astrattismo (arte non oggettiva), l’artista ceco naturalizzato olandese Tomas Rajlich.
Il Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce dedica un’ampia retrospettiva a un grande interprete internazionale dell’astrattismo (arte non oggettiva), l’artistaceco naturalizzato olandese Tomas Rajlich, in dialogo con alcune opere chiave della collezione museale (dall’astrattismo del secondo Dopoguerra alle ricerche percettiviste e preconcettuali degli anni Sessanta, fino all’arte Optical e alla Nuova Pittura – Pittura analitica – dagli anni Settanta e Ottanta).
La mostra, a cura di Cesare Biasini Selvaggi e Flaminio Gualdoni con la collaborazione di Martin Dostál, presenta attraverso oltre ottanta opere una panoramica inedita del peculiare percorso artistico e della vitalità espressi dalla pittura aniconica.
La mostra è prodotta dal Comune di Genova, realizzata in collaborazione con ABC-ARTE Galleria d’arte contemporanea di Genova, con il Patrocinio dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi. Media Partner è Rai Cultura.
«Era per me doveroso fare in modo che la proposta di una mostra così solida dal punto di vista curatoriale e così importante per il Museo d’arte contemporanea di Genova venisse accolta e valorizzata al massimo» afferma Anna Orlando, Advisor per Arte e patrimonio Culturale del Comune «perché oltre alla qualità e alla bellezza dell’arte di Tomas Rajlich è un onore per noi che un artista di tale livello e fama internazionale abbia scelto personalmente le opere della collezione permanente del museo per istaurare un dialogo visivo e concettuale con le proprie. È un’occasione unica e preziosa per il nostro pubblico con cui dialogare attraverso il suo astrattismo magico, delicatissimo e magnetico».
Dopo la grande stagione astratta degli anni Trenta, all’apice del modernismo, negli anni Sessanta e Settanta, gli artisti ne stressarono le qualità sia di forma che di contenuto. Si può dibattere se l’enfasi di allora sul minimalismo, sulle potenzialità del concettuale e sull’estetica della riduzione non abbia forse provocato un allontanamento tra gli artisti e il loro pubblico. Però è altresì chiaro che questa fase rappresentò non solo una necessità, ma anche un periodo alla cui eredità (ancora oggi vitale) l’arte contemporanea torna a rivolgersi senza soluzione di continuità. Non solo per un’esigenza di ricognizione storico-critica, ma per la riscoperta sorprendente della sua efficacia, delle sue qualità, della sua genialità concettuale e della sua espressività astratta. Una vera e propria miniera di spunti e stimoli a cui attingere per condurre anche oggi una ricerca attuale e vibrante.
E qui non siamo lontani dal titolo della mostra MAKE IT NEW!, ovvero un focus dall’approccio originale sull’inesauribile carica innovativa della pittura aniconica, che ha solcato il XX secolo fino ad approdare ai nostri giorni.
Il percorso espositivo delle opere di Tomas Rajlich, che documentano oltre mezzo secolo di ricerca, parte dagli esordi nella scultura degli ultimi anni Sessanta, per concludersi con i suoi lavori più recenti, con le loro variazioni sull’intensità, la luminosità e la consistenza della pittura stessa, attraverso sensibilissime texture di materia-colore.
Un avvicendarsi di lavori di sala in sala, a confronto e in dialogo con una selezione di preziose opere appositamente allestite di maestri italiani dell’astrattismo, provenienti in gran parte dalla collezione del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce: Getulio Alviani, Rodolfo Aricò, Agostino Bonalumi, Enzo Cacciola, Antonio Calderara, Nicola Carrino, Gianni Colombo, Pietro Consagra, Dadamaino, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Marco Gastini, Giorgio Griffa, Riccardo Guarneri, Paolo Icaro, Osvaldo Licini, Piero Manzoni, Fausto Melotti, Bruno Munari, Martino Oberto, Claudio Olivieri, Arnaldo Pomodoro, Mauro Reggiani, Antonio Scaccabarozzi, Paolo Scheggi, Turi Simeti, Atanasio Soldati, Giuseppe Uncini, Nanni Valentini, Claudio Verna, Gianfranco Zappettini.
Attende il visitatore una successione di dipinti, disegni, sculture non convenzionale come la stessa estetica dell’artista ceco. Il focus sulla ricerca aniconica italiana è stato deciso dallo stesso Rajlich, in relazione agli spazi espositivi di Villa Croce e a quegli artisti che, dagli anni Cinquanta, hanno lavorato in modo più radicale sull’astrazione e sull’uso minimalista del colore. Capiterà così al pubblico di imbattersi, tra gli altri, in lavori come Achrome (1958) di Piero Manzoni, Cementarmato (1960) di Giuseppe Uncini, Bianco (1967) di Agostino Bonalumi, Tema II e 7 variazioni (1969-70) di Fausto Melotti, Concetto spaziale, Attese (1963) di Lucio Fontana.
Tomas Rajlich (Jankov, Repubblica Ceca, 1940) studia alla Scuola di Arti Decorative e all’Accademia di Belle Arti di Praga. Nel 1967 fonda il gruppo Klub Konkretistů, che si pone nella scia delle neoavanguardie internazionali incarnate da Azimut in Italia, ZERO in Germania e Nul in Olanda. Nel 1968 il suo lavoro conosce un primo momento di visibilità internazionale grazie ala partecipazione alla mostra Sculpture Tchécoslovaque al Museo Rodin di Parigi.
Esiliatosi dalla Cecoslovacchia nel 1969 in seguito all’invasione sovietica, si trasferisce in Olanda, dove diventa docente alla Vrije Academie a L’Aia. L’interesse di Rajlich per la costruzione di opere monocrome su griglie geometricamente regolari viene subito accolto con favore nel clima del concettualismo olandese.
Nel 1974 tiene personali fondamentali da Yvon Lambert a Parigi, da Art & Project ad Amsterdam e da Françoise Lambert a Milano, per molti anni le sue gallerie di riferimento.
Nel 1975 è tra i protagonisti, con Brice Marden, Robert Ryman, Gerhard Richter e altri, della memorabile mostra Fundamentele schilderkunst / Fundamental painting allo Stedelijk Museum di Amsterdam, pietra miliare dell’affermazione internazionale della pittura analitica.
Negli anni successivi Rajlich è invitato a esporre in mostre di riferimento come Elementaire Vormen (mostra itinerante, 1975), Fractures du Monochrome aujourd’hui en Europe (Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 1978) e Bilder ohne Bilder (Rheinisches Landesmuseum Bonn, 1978).
Le tele di Rajlich mostrano un crescente interesse verso il “fondamentale” in pittura, a differenza dei contemporanei minimalisti americani. I suoi primi lavori sono caratterizzati da un aspetto industriale e da una qualità modulare – la griglia è la chiave – mentre i lavori maturi mostrano un ragionamento più complesso sull’idea essenziale che la pittura sia un’entità che riflette su sé stessa.
I suoi monocromi più recenti esplorano la combinazione dell’impersonale, il gesto e la creativa forza della luce. Sono variazioni sull’intensità, sulla luminosità e sulla facture della pittura, rimanendo allo stesso tempo una chiara pittura fattuale.
Dal 1999 al 2002 Rajlich è stato artista di residenza al Centre Georges Pompidou di Parigi che conserva in collezione le sue opere, presenti, tra le altre istituzioni, anche al Centraal Museum di Utrecht, al Musée d’Art et d’Industrie di Saint Étienne, al Musée Cantini di Marsiglia, al Museum Boijmans-Van Beuningen di Rotterdam, al Museum of Modern Art di New York, alla Národní galerie di Praga, alla Peter Stuyvesant Foundation di Amsterdam, alla National Gallery of Canada in Ottawa, allo S.M.A.K. di Gent, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, allo Stedelijk Museum di Schiedam, allo Stedelijk Museum De Lakhal di Leiden, allo Stedelijk Museum Het Prinsenhof di Delft.
Fonte: Ufficio Stampa Sofia Li Pira