L’artista parla della sua opera site-specific, realizzata per il loggiato di Museo Novecento, come di creature viventi, sono fatti di gesso e di argilla e di questi materiali posseggono tutta la fragilità, ma anche l’infinita malleabilità che li può trasformare in qualsiasi cosa.
Il loggiato al primo piano del museo, come di consueto dedicato agli artisti emergenti, ospita la giovanissima Chiara Gambirasio, classe 1996, che vive e lavora tra Milano e Bergamo. La sua ricerca sconfina tra varie discipline artistiche, ma sottende come minimo comune denominatore il principio essenzialmente pittorico di rappresentazione della realtà attraverso il colore. Per definire questo suo modo di procedere, l’artista stessa ha coniato la parola “Kenoscromia”, ovvero vibrazione cromatica nel e del vuoto: “un’energia insita nei colori, capace di organizzare lo spazio, gli oggetti, addirittura il tempo e di manipolarli simbolicamente con una freschezza fiabesca”, come scrive di lei Cristina Muccioli.
La sua attenzione, anche nell’opera site-specific realizzata per il loggiato di Museo Novecento, si concentra su dei punti di colore che appaiono nella realtà come intrusi, che lei si pone di trasformare attraverso l’immagine in fulcri prospettici. I suoi lavori, di cui Gambirasio parla come di creature viventi, sono fatti di gesso e di argilla e di questi materiali posseggono tutta la fragilità, ma anche l’infinita malleabilità che li può trasformare in qualsiasi cosa. E lo fa realmente. Sui suoi labili supporti, procedendo per tocchi di colore, l’artista dà vita ad un bestiario fantastico, dove ciò che siamo abituati ad immaginare in un modo, diventa tutt’altro. Così un cinghiale spicca il volo, lanciato leggiadro verso il cielo e un pesce abbandona le acque azzurre per farsi uccello. La forza di gravità perde completamente di senso, ogni figura sembra essere di passaggio sulla terra, pronta a spiccare il volo verso altri mondi. Le sue poesie hanno qualcosa di antico, sembrano rêverie appartenenti a un’iconologia medioevale e del profondo, contemporaneamente (fino al 10 ottobre 2021).
Fonte: Ufficio stampa Museo Novecento – Firenze