Tre artisti, di tre diverse nazionalità per raccontare Palermo, dallo stesso punto di vista ma ognuno con il proprio sguardo. E’ Palermo Panorama, la mostra collettiva di Valerie Krause, Carmelo Nicotra e Timothée Schelstraete.
Promossa dal Goethe-Institut Palermo e Institut français Palermo con il sostegno del Fondo Eliseo, organizzata in collaborazione con il Verein Düsseldorf-Palermo e.V. e a cura di Alessandro Pinto e Serena Fanara, la mostra s’inaugura sabato 15 maggio, dalle 11 alle 18 – e fino al 26 giugno- all’Haus der Kunst dei Cantieri Culturali della Zisa.
La mostra è il risultato di una residenza artistica promossa nell’ambito dell’avviata collaborazione tra i due istituti di cultura, che nel settembre 2020 ha visto la presenza contemporanea a Palermo dei tre artisti di diverse nazionalità: Valerie Krause (1976 Herdecke, Germania), Carmelo Nicotra (1983 Favara, Italia) e Timothée Schelstraete (1985 Parigi, Francia). Provenienti da diversi Paesi, e da diversi ambiti delle arti visive, gli artisti sono stati scelti per la loro sensibilità nell’interagire con i luoghi, come presupposto per un’indagine visiva sulla città di Palermo che è partita proprio dai Cantieri Culturali della Zisa, – il vasto complesso di archeologia industriale riconvertito in polo culturale al centro di uno dei quartieri simbolo della città – dove hanno condiviso per un mese il padiglione dell’Haus der Kunst, come spazio di lavoro.
In un legame ideale, con il “Panorama von Palermo”, di Karl Friedrich Schinkel, il celebre quadro panoramico circolare dalle enormi dimensioni, che l’architetto e pittore dipinse dalla terrazza di un edificio della Zisa, “fotografando” la città, ciascun artista ha restituito un’immagine personale e potente di Palermo, interpretandone con il proprio linguaggio artistico suggestioni e visioni, dallo stesso comune punto di osservazione: la Zisa.
Per secoli parco oltre le mura cittadine con il suo Castello normanno, e le ville della felice stagione del Liberty palermitano, oggi quartiere in cui coesistono realtà sociali, culturali, ma anche architettoniche diverse – la forte presenza multietnica le vivaci vie – mercato, gli edifici realizzati durante il boom edilizio degli anni ’60 e zone più degradate con un alto tasso di dispersione scolastica.
Da questo contesto, una Palermo ferita e narcotizzata dalla pandemia da Covid, prende le mosse l’attività dei tre astisti, che ne analizzano le architetture, le secolari idiosincrasie strutturali, interpretando la città come un dispositivo ottico nel tentativo illusorio di poterne cogliere un’immagine univoca. L’esperienza di residenza dimostra al contrario, la crisi di una visione totalizzante e omnicomprensiva che non può realizzarsi mai come sintesi di un luogo e di una città. Le opere prodotte, con tecniche e media diversi, indagano le crepe e gli interstizi delle maglie che costruiscono la città, urtando contro di essi fino a infrangerne le giunture e facendone propri i frammenti.
Carmelo Nicotra, prende spunto dall’osservazione dei punti alti della città per lacerarne un segmento e presentarlo come struttura; il risultato è una grande installazione ambientale – 14 metri per 1 – che rappresenta un lembo di tetto a spiovente realizzato con una struttura in metallo coperta di tegole in terracotta: il punto di osservazione ideale dal quale potere ammirare la città da una prospettiva estraniante.
L’artista tedesca Valerie Krause riprende un elemento ricorrente nei quartieri storici della città, le condutture esterne per l’acqua, con le quali realizza la sua opera – installazione che si dispiega intersecandosi sia in altezza che in larghezza come un dedalo di strade e vicoli da cui è impossibile trovare una via d’uscita, costringendo l’occhio del fruitore a seguirne la trama e l’intreccio.
L’idea del movimento centripeto è ripresa anche in un video in bianco e nero, in cui la Krause mette in scena una danza malinconica, caratterizzata da contrasti e opposizioni quali bianco/nero, vuoto/pieno, movimento/stasi.
Timothée Schelstraete coglie Palermo in frammenti di immagini distorte, interessato ai fragili lembi e agli aspetti minimi che la compongono. Le sue opere si caratterizzano per la loro transmedialità. L’artista parte dal dato oggettivo ripreso attraverso la macchina fotografica per imprimerlo attraverso un transfer analogico sul supporto della tela su cui interviene con la pittura. Nel passaggio dal medium fotografico a quello pittorico le immagini si trasfigurano, perdono la connotazione reale, cromatica e spaziale, e diventano altro, riflessi del movimento dell’occhio che non riesce a percepire il dato sensibile e ne conserva un ricordo visivo distorto. Segmenti di palme, lembi di tessuti damascati, maglie sinuose di reti metalliche, piccoli oggetti, tutto si lacera perdendo il proprio valore razionale a vantaggio di interpretazione obliqua che fa dell’oggetto rappresentato uno specchio deformante attraverso cui cogliere aspetti altrimenti destinati all’oblio.
Fonte: Ufficio stampa Sofia Li Pira