La recensione di Paolo Rausa sul saggio che affronta il rapporto fra uomini e dei, sotto forma di gatti, che ripercorre la storia del felino domestico più conosciuto, la cui presenza tra gli uomini è già presente nel 4000 a.C. dell’antico Egitto.
Con questo saggio John Gray, scrittore e saggista statunitense, affronta il rapporto fra uomini e dei, sotto forma di gatti. Almeno così sembra, percorrendo la storia di domesticazione degli uomini da parte dei gatti, come egli sostiene. La loro presenza nell’antico Egitto risale al 4000 a.C. quando presero a frequentare gli insediamenti sul Nilo, cacciando e mangiando roditori e serpenti. A partire dal 2000 a.C. i gatti passarono in parte dallo stato selvatico a frequentare le abitazioni divenendo, scrive l’egittologo ceco Jaromir Malek in “The cat in Ancient Egypt”, animali domestici, anzi addomesticandosi da sé. Successivamente tra il 1000 e il 350 a.C. iniziarono ad essere venerati col nome della dea Bastet. Gli egiziani, di religione animista, ritenevano che gli umani non fossero stati creati per dominare la terra ma come esseri al pari di tutti gli altri viventi. Fra i compiti assegnati loro immaginavano che fossero psicopompi, ovvero che accompagnassero le anime dei defunti. In questo modo, dice l’autore, “erano un’affermazione di vita in un mondo ossessionato dalla morte”. Le cose cambiarono con il cristianesimo e con il medioevo, quando venivano associati alla notte come accompagnatori delle streghe nei sabba, convegni con il demonio. Perciò subirono spesso delle vere e proprie persecuzioni e crudeltà da parte del popolo timoroso di dio e del buio della morte, di cui si riteneva che i gatti fossero i custodi. “Poiché incarnano una libertà e una felicità che gli umani non hanno mai conosciuto, i gatti sono entità estranee al nostro mondo”, ecco perché l’atteggiamento umano nei confronti dei gatti è stato di ammirazione per la loro autonomia e per la loro “atarassia” congenita. John Gray attraversa il pensiero filosofico alla ricerca di risposte alle domande esistenziali dell’umanità, sulla felicità, sull’amore verso gli altri e degli altri verso di noi, su cosa significhi comportarsi da uomo giusto, sulla nostra fragilità e instabilità, sulla sofferenza a causa della perdita delle persone care, indagando il pensiero occidente greco romano, l’epicureismo e lo stoicismo, Spinoza e Montaigne, Pascal e Schopenhauer, il tao e il buddismo, ma per lo più la nostra ansia di sopravvivenza dopo la morte che domina la nostra vita. E allora cerchiamo risposte nella affermazione personale, nel potere dispotico, pensando che riempirsi la vita di impegni serva a non pensare ad altro, a quello che succederà. “E se fossero i gatti i veri maestri di vita?”, si chiede John Gray. Analizzando la loro esistenza, troviamo modalità che potremmo con successo applicare alle nostre vite, perché i gatti non conoscono l’ansia e l’angoscia di vivere, gestiscono con saggezza i rapporti con gli altri esseri viventi e con gli umani, affrontano con dignità la morte. I gatti di molti scrittori, quello di Montaigne, Meo sopravvissuto al Vietnam, Saha ne “La gatta” in Romanzi e racconti della scrittrice Colette, Timo nel romanzo “Il viaggio di Sama e Timo” di Miriam Dubini, sono testimonianze di rapporti affettivi e intensi. Che cosa hanno intravisto gli scrittori nell’amore passionale per i gatti? Questi animali sono in grado di offrire ciò che gli umani non sanno dare. Per l’autrice americana di romanzi e racconti, Patricia Highsmith: “una compagnia senza pretese e senza intrusioni, riposante e mutevole come il movimento appena percettibile di un mare tranquillo.” Per i gatti il fatto di esistere è importante in sé, invece gli umani cercano un significato oltre la propria vita, per cui hanno inventato religioni e filosofie per dare significato alla loro vita oltre la loro scomparsa. La differenza fra noi e i gatti è che loro non hanno nulla da imparare da noi, invece noi “possiamo imparare ad alleggerire il peso che accompagna la condizione umana”. In questo senso possono farci da maestri, perché non rimpiangono le vite che non hanno vissuto. Il saggio si conclude con dieci suggerimenti che l’autore offre ai lettori condensando la saggezza felina in dieci punti da seguire con leggerezza e consapevolezza, senza fuggire il mondo ma fissandolo negli occhi e abbracciandone la follia e soprattutto lasciandosi andare all’aroma della vita, suggendone la bellezza fugace. Filosofia felina, Mondadori Libri S.p.A, Milano, 2020, pp. 201, € 16,00.