“Chi non è buono per il re, non è buono nemmeno per la regina!” sarà poi stato vero?
Di quell’anno ho disordinati ricordi. La frenesia del quotidiano mi suggerisce che perdersi in un passato che non ritorna è un sottrarre tempo al tempo che si consuma più velocemente di quando da bersagliere andavo di corsa. Sono passati diversi decenni dalla data dell’assolvimento dell’obbligo del servizio militare di leva. All’ora ero un quasi ventenne al primo anno di università con tanti sogni, con una confusa idea di come avrei organizzato la mia vita. Non feci nulla per evitare l’obbligo di leva, non cercai raccomandazioni o scorciatoie neanche quando feci domanda per essere ammesso a svolgere il servizio di leva da ufficiale.
Partecipai al concorso per (AUC) Allievi Ufficiali di Complemento, già al distretto militare di Bari un navigato maresciallo con ironico sorriso mi chiese se avessi una raccomandazione, gli risposi che io il militare lo volevo fare, lui sconsolato alzo le spalle e allontanandosi mi disse che avevo ancora tanto da imparare.
Le selezioni si svolsero a Napoli. Dal mio paese partimmo in quattro, scesi dal treno chiedemmo informazioni su dove poter alloggiare, ricevemmo generiche indicazioni. Ci incamminammo “all’avventura”, qualche centinaio di metri dalla stazione una insegna indicava una pensione che scoprimmo trovarsi all’interno di un antico palazzo che doveva aver avuto un più glorioso passato. La pensione era al quinto piano, senza ascensore. In due salimmo per prenotare, ci accolse quello che doveva essere il portiere, un fugace saluto e ancora prima che potessimo chiedere qualcosa ci fece accomodare in un salottino stile liberty dicendoci: “attendete qui”. La cosa ci sembrò strana, iniziarono ad entrare una, due, tre “signorine” a cui poco dopo si aggiunse una attardata e ben curata signora che ci chiese se erano di nostro gradimento. Da subito non avevamo capito dove eravamo capitati, con disarmante ingenuità risposi che eravamo in quattro e volevamo prenotare una stanza. La risposta fu fulminea: “Tutte le stanze sono affittate” e non prevedeva repliche, con un gesto cortese ed eloquente ci indicò l’uscita. Trovammo poi da dormire da una signora che ci affittò dei letti in una camera che condividemmo tutti insieme. Tornato al paese, qualche tempo dopo ricevetti una lettera con la quale mi si comunicava che ero idoneo al corso AUC ma che per ragioni numeriche venivo assegnato al 50° e ultimo corso ACS. Mi tornarono alla mente le profetiche parole del maresciallo che si era raccomandato di raccomandarmi di cercare una raccomandazione. Digerita la notizia, il giorno prestabilito salìì sul treno per Lecce, in fondo ero ancora nella mia terra. Arrivato nei pressi della Caserma non entrai subito, sostai un po’ in un bar ed è li che gustai per la prima volta il famoso “Pasticciotto leccese”. Addolcitomi mi presentai al posto di guardia, dopo le formalità di rito mi indicarono una branda, la mattina seguente avrei saputo il corpo di assegnazione. Ero curioso, mi sentivo pronto a cominciare la nuova vita che avrebbe segnato uno spartiacque (uno dei tanti) tra la vita precedente e quella futura. I primi giorni furono un po’ turbolenti e a più riprese mi misi a rapporto in quanto avrei desiderato fare il paracadutista, mi fu risposto che come comandante di squadra sarei dovuto essere già brevettato, non contento tornai alla carica chiedendo di andare nei lagunari del San Marco, anche questa richiesta fu rigettata in quanto l’arruolamento era regionale; dopo questi due tentativi mi diedero divisa e mostrine della cavalleria e inviato alla Caserma Trizio. Ero giovane e un po’ irruento, malgrado mi avessero vivamente consigliato di non fare più richieste, decisi di fare da solo, fui protagonista di un episodio che fece infuriare e al tempo stesso sorridere il capitano della mia compagnia che era un bersagliere nel fisico e nell’impeto. Senza attendere le pur richieste autorizzazioni mi accordai con un altro commilitone e mi autoproclamai bersagliere mentre l’altro prese le mie mostrine. A Lecce, nella libera uscita, mi trattenevo spesso in lunghe e piacevoli conversazioni al Caffè Alvino un raffinato locale rétro con lampadari di cristallo e divani in pelle. Mitico cappello da bersagliere, l’esercito me ne aveva dato uno con 50 piume, in un negozio specializzato acquistai un piumino da 450 piume che finirono per diventare poco meno di 400 perché per una piuma le ragazze sfacciatamente ti donavano un bacio e io non disdegnavo.
L’addestramento, il giuramento e poi a fine corso fui assegnato al 2° Battaglione bersaglieri Governolo divisione “Legnano”. C’era chi si lamentava per la destinazione, chi si disperava, chi ancora cercava di contattare lo zio arciprete o il politico di lungo corso che ancora avrebbe potuto fare qualcosa, io e pochi altri restammo indifferenti, ricevemmo dal nostro capitano le congratulazioni per aver evitato di ricorrere alle italiche facilitazioni. Lasciai Lecce non senza rimpianti, avevo conosciuto una ragazza …. ero giovane e con una strada nella vita tutta in salita. Il treno che mi avrebbe condotto a Legnano passava dalla stazione del mio paese salutai dal finestrino i miei genitori, mia madre non si stancava di indirizzarmi mille raccomandazioni sul come riguardarmi. Durante il viaggio, incontrai una ragazza, passammo ore a chiacchierare nel corridoio del treno, il viaggio era lungo, più di 10 ore, per me durò troppo poco, quando ci salutammo mi scrisse su un pezzettino di giornale il suo numero di telefono e porgendomelo mi disse: ”Chiamami”, era un’epoca ancora romantica non esisteva internet si scrivevano lettere e per sentire la voce di chi ti stava a cuore si faceva la fila davanti alla cabina telefonica dove chi attendeva ascoltava i fatti di tutti.
La Caserma Cadorna di Legnano era li ad attendermi, un cartello indicava “Mezzi al passo, Bersaglieri di corsa” una delle prime cose che mi dissero al mio arrivo fu quella che avrei fatto meglio a evitare la 1 Compagnia a cui puntualmente venni assegnato, per la verità i soggetti “Originali” non mancavano, nulla a che vedere con la scuola militare. In Caserma dovevi imparare ad arrangiarmi ad andare d’accordo con tutti indipendentemente dalla loro istruzione e dalla loro provenienza geografica e poi avevo scelto io di farmi assegnare a una compagnia di assaltatori non potevo pretendere classe ed educazione. Gli “scherzi” più innocenti il “sacco” nella branda (entri nel letto e trovi il lenzuolo ripiegato, che ti blocca mentre allunghi le gambe) e il “gavettone” furono episodici perché di li a poco i meno raccomandabili presero a rispettarmi. Durante tutto il periodo della naja mi capitò di fruire di una sorta di “turismo militare”.
Indimenticabile il campo in Sardegna e le esercitazioni nella bergamasca, a Bergamo in città alta era quasi una villeggiatura. Quante storie in quei mesi: le fughe, gli scavalchi notturni dopo il contrappello, gli incontri e i tanti commilitoni di cui ricordo solo qualche nome.
Dopo aver aperto una grossa busta, dimenticata sul fondo di un cassetto della mia scrivania è riapparso un pezzo della mia vita; quanta tenerezza nel rileggere ingenue lettere d’amore cariche di promesse, rivedere volti di cui avevo perso i contorni, quelle fotografie ritrovate mi hanno restituito emozioni. Non è il passato che ritorna sono solo spezzoni di vita messi da parte che oggi testimoniano del tempo che pur dileguatosi ha lasciato tracce. Scrivendone mi accorgo che tanto ci sarebbe da scrivere, un anno è lungo, quegli abbracci a fine servizio, il non perdiamoci di vista, poi ognuno si lasciava il pesante cancello alle spalle con un pizzico di malcelata allegra tristezza. Io mi avviavo verso un incerto futuro, avevo da finire gli studi, da trovare “un posto fisso” e sapevo che non essendo avvezzo alle raccomandazioni avrei patito più di altri. Lasciai la Caserma, lo feci alla chetichella, avevo orchestrato una burla e in diversi me ne avrebbero voluto chiedere conto, ma questa è un’altra storia che racconterò a quelli del 50° corso ACS di Lecce che incontrerò l’anno prossimo in una rimpatriata nella città del Barocco dove anche il nostro capitano ora generale in pensione sarà presente. Confidando ancora nel domani, sento di poter dire a gran voce a quelli tra di noi che non hanno dimenticato: “Bersagliere a vent’anni, bersagliere per tutta la vita” anche se alcuni sono stati più veloci e sono ormai oltre quell’ultimo cancello che non prevede ritorni.