Lo scrittore Agostino Picicco analizza i pro e i contro della comunicazione interpersonale ai tempi del Coronavirus.
Un tempo era legata all’immagine dei giapponesi che – per difendersi dallo smog – si spostavano indossandola in bicicletta o sui mezzi pubblici. E a noi sembrava una cosa eccentrica che suscitava un sorriso.
Il Covid ci ha costretto ad utilizzarla prima un po’ timidamente, ora più diffusamente e obbligatoriamente, dato che ne va della nostra salute e di quella degli altri, uno scudo per difenderci in qualche modo dal terribile virus.
Un cambio di usi e abitudini, e un vincolo in più, come i tanti che in questi decenni stanno cambiando e complicando la nostra vita. Vi ricordate dopo la tragedia delle Torri Gemelle come è diventato difficile andare in aeroporto, viaggiare, organizzare un bagaglio, ecc.?
Tra i tanti vincoli, oggi anche quello della mascherina anti Covid (si pensi al fastidio quando si è usciti di casa dimenticandola, e si deve rientrare di corsa, senza farsi vedere da chi passa in quel momento).
La mascherina oramai fa parte della nostra quotidianità, è strano e desta preoccupazione il non vederla indossata in chi ci è vicino. E’ entrata nei nostri protocolli, distinguendo i fanatici o i “negazionisti” (prima che del virus, proprio della mascherina) ed è motivo di lite quando uno non la usa. Anche le foto, quasi a lasciare un segno tangibile del tempo d.C. (dopo Covid), ormai sono caratterizzate dalla presenza di una mascherina, magari sotto il mento se si sta svolgendo una conferenza.
Cambia la vita, in bene e in male.
La maschera è segno inequivocabile di distanziamento e di camuffamento: deforma il viso e la voce, copre i tratti più individuali che contraddistinguono ognuno di noi.
E’ utile per nascondere rughe e bruttezza, o qualche sbadiglio, o espressioni di disappunto, di sfottò, di noia, soprattutto se si è in video conferenza. Ma permette almeno di vedere gli occhi che sono sempre espressivi.
Ci ha rubato i sorrisi (si vedono anche dagli occhi ma non è la stessa cosa), il dono più bello quando si incontra una persona o si condivide un sentimento.
Crea anche disagio, perché non fa riconoscere le persone (con tutta una serie di gaffe annesse), e rende difficile comprendere i nostri interlocutori. Talvolta si può passare inosservati, quando non ci si vuol fare vedere e si vogliono evitare incontri o contatti sgraditi, con la scusa della pandemia e del virus che può colpire.
E’ vero che resta il linguaggio degli occhi, il tono di voce, i gesti, ma – non so se avete notato – siamo più obbligati a fare attenzione a quello che l’altro dice. Forse un esercizio utile per allenarsi ad ascoltare meglio. Un monito da tenere presente per quando la pandemia ci avrà lasciati.