Al di la della osservazione e vivisezione delle altrui apparenti intuibili vite, ognuno di noi va poi in cerca di una popolazione di individui a cui sentirsi vicini per affinità e interessi.
Vivere più vite vivendo attraverso la passiva presenza l’apparente banale fluire delle vite altrui.
Una delle cose che faccio ultimamente a conclusione delle mie lunghe passeggiate è quella di piantarmi per interi pomeriggi nei bar di periferia dove le consumazioni sono meno veloci, fatte al tavolo non costano un mutuo, rendendomi invisibile agli altri avventori e ascoltando cosa dicono.
Non ho mai desiderato cambiare nulla di ciò che naturalmente era lo scorrimento del tempo abituale di quelli che erano gli ignari attori, a ogni momento sentivo accenni a storie possibili, a momenti di vita non miei e di lì mi sembrava di capire come nascono i racconti. Ci si accorge osservando quelli che resteranno sconosciuti come e con quale padronanza si muovano in quel teatrino dell’esistenza tante anime apparentemente con poco spirito e tanti attori senza regista. Quello che non si può fare a meno di annotare e come un po’ tutti noi viviamo dentro al “sentito dire” collettivo. E’ un bell’esercizio, si sente una cosa, viene voglia di capire ciò che si dice, e si parte a farsi domande, ossia a fantasticare. Sono le domande il filo conduttore, le risposte pare non le ascolti nessuno convinto che nella domanda stessa ci sia già la soluzione, il pensiero interrogativo promuove altre immagini e fantasie. L’idea di ascolto è un bel concetto. Nei fatti però, al di la della osservazione e vivisezione delle altrui apparenti intuibili vite, ognuno di noi va poi in cerca di una popolazione di individui a cui sentirsi vicini per affinità e interessi.
Cerco una popolazione di sognatori passionali esposti alla fatalità del destino, trovo una umanità ripiegata su se stessa ed etero diretta. Vorrei andare oltre l’osservazione e diventare parte della rappresentazione, superare i limiti dell’individualismo che porta a chiudersi nel proprio guscio, superare il preconcetto che la vita altrui sia un fenomeno vegetativo dove tutto è collegato e animato da fili invisibili. Liberarsi dai legacci attraverso la fantasia.
Fantasia, facoltà della mente che in misura diversa tutti possediamo, una misura non discriminante ma che rende unico ogni essere. Capacità di allontanamento dal presente attraverso la smaterializzazione del pensiero, capacità di vivere vite anche solo immaginate, vivere la fantasia non solo come forma di astrazione ma anche come sensazione vissuta di poter toccare, sentire annusare e vedere quello che è per noi la realtà così come la vorremmo. Credere possibile la realizzazione di tutte quelle fantasie che altrimenti vagherebbero nella nostra mente come fantasmi, superando il limite dei mezzi necessari per realizzare quello che immaginiamo. Si finisce per accorgersi di essere troppo sognatori o anticipatori, più spesso percepiamo la stessa sensazione che credo vivano gli evasi, la consapevolezza di vivere lontani dalla propria vita che a volte è stretta come la cella d’isolamento di una prigione. Ci si può perdere inseguendo la fantasia, è certamente una esperienza individuale, attrae e distrae, coinvolge anima e corpo, conoscenza e illusione.
Il tempo che passa non è illusione o fantasia è una non rinviabile conseguenza del vivere. Se dovessi provare a spiegarmi in maniera comprensibile non ne sarei capace, in fondo sono in un locale fuori mano, osservo le altrui esistenze e lascio che il tempo fluisca.