Il coronavirus incarna l’angoscia di fronte all’imprevisto, allo sconosciuto, alla morte. Una catena di emozioni sta, inevitabilmente, attraversandoci, tra queste c’è la paura. La paura, doverosa di fronte ad un nemico, protettrice di per sé (è la paura che mette all’erta rispetto ai possibili pericoli), oggi può potenzialmente esplodere in panico.
Interrogarsi sull’impatto che la quarantena può avere sulle nostre vite significa anche indagane i possibili risvolti.
Il primo requisito per affrontare una situazione con potenziale traumatogeno è alimentare la consapevolezza, ovvero comprendere cosa stia accadendo dentro di sé in relazione all’emergenza.
Il Trauma con la T maiuscola, che è potenzialmente quello che ci stiamo trovando ad affrontare, ha la caratteristica di essere improvviso, rapido, inaspettato, incontrollabile: la paura dell’infezione da agente patogeno, che può mettere a repentaglio la nostra incolumità, si fa largo dentro di noi, spaventandoci a morte. Il trauma ha la caratteristica di cortocircuitare le risposte fisiologiche del corpo, che costituiscono una sorta di intelligenza innata e che alimentano la capacità di dare un senso agli avvenimenti.
L’emergenza ci costringe a rimanere in casa, misura oltre modo necessaria, che dal punto di vista psicologico corrisponde però all’immobilità, all’impossibilità di fuggire, e non necessariamente solo alla possibilità di proteggersi. Ne consegue la possibilità che il cervello rettiliano ci porti a percepire uno stato di allerta nel corpo, che ora si trova avvolto dall’incertezza, immerso in una sensazione di assenza di stabilità. La mancanza di movimento genera la percezione della perdita di controllo sui propri spostamenti, metaforicamente associata alla paralisi, alla scomparsa della possibilità di reagire ad un pericolo attraverso la fuga o l’attacco, che sono invece le due risposte idonee e potenzialmente salvifiche che riducono lo stress. E’ possibile, allora, che vissuti di minaccia, costante allerta, ansia, angoscia, perdita di piacere, disorientamento, si impossessino di corpo e mente, emozioni figlie di una costante attivazione, che non viene rilasciata, a causa del blocco delle vie di scarico.
A tutto questo, condizione già di per sé decisamente ostica, si aggiunge la paura della paura, il che nell’insieme crea un circolo vizioso di traumatogenicità, che può degenerare in una percezione globale di grande pericolo.
Resistere al trauma è possibile, mettendo in atto una serie di strategie.
La prima è quella di seguire solo le indicazioni fornite dagli organi ufficiali (Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus e Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/), pur senza cadere nell’accanimento dell’informazione che, per quanto sia legato al bisogno di rassicurazione, fissa la rete neurale su un unico tema, causando ruminazione mentale. Il coronavirus è contagioso ma, come ha sottolineato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, su 100 persone che si ammalano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 hanno problemi più gravi, e di solito sono portatori di altre importanti patologie. Se è vero che è difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti è altrettanto vero che basarsi sui dati oggettivi può controbilanciare il sentimento di paura.
La seconda strategia, insegna Erica Francesca Poli, medico integrato e psichiatra che stimo molto, è stabilizzare il campo, quella matrice, anche energetica, in cui siamo immersi. La paura ha una chimica, e di riflesso una chimica di comunicazione tra esseri umani, che si propaga velocissimamente. La paura attiva una serie di meccanismi di sopravvivenza, mediati da adrenalina e cortisolo, due ormoni dello stress. Man mano che cresce lo stato di allerta si alza il livello di stress, che attiva la risposta di attacco-fuga, deputata a combattere lo stimolo minaccioso. Se tale sensazione di allarme perdura nel tempo, le scorte di adrenalina si depauperano e contemporaneamente salgono i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress cronico. Aggressività, ansia, irritabilità possono aumentare, inficiando il tono dell’umore, la tenuta del sistema immunitario, le capacità relazionali e sociali. Diventa, allora, importante regolare la paura: riattivare quella buona sensazione di sicurezza interna, attraverso le nostre risorse, al fine di preservare l’equilibrio. Il primo passo è curare gli aspetti pratici che generano comfort: allestire le nostre case come fossero nidi protettivi, curando l’estetica, la bellezza, elemento di benessere per il nostro sistema nervoso, facendo uso di oggetti che alimentano tale comfort, al fine di stare comodi pur in un campo di tensione. Indossare indumenti morbidi dai colori rinvigorenti, fare uso di generi di conforto che diano la sensazione di accudimento, ascoltare una musica gradevole, respirare profumi graditi, immaginando di attraversare un travaglio che conduce alla rinascita.
La terza strategia è quella di dedicarsi al proprio mondo interiore, al fine di regolare il campo interno: rimanere connessi alla vitalità presente dentro di noi, alle nostre risorse interne, sempre presenti se pur forse un po’ affievolite. A tal proposito ci si può dedicare un po’ di tempo, seduti comodamente, andando a contattare un posto in cui ci siamo sentiti decisamente al sicuro, un luogo anche solo immaginario dove abbiamo vissuto una condizione di protezione, un’esperienza di benefico rilassamento, di sicurezza, di stabilità. Lasciare che tali piacevoli sensazioni invadano il corpo, impregnando gli organi, immaginando che tutto il corpo, cellula dopo cellula, ne venga inondato, lasciando che il corpo possa sentire quell’avvolgente sensazione di protezione, di calma, facendola propria senza fretta, respirandoci dentro, trasformandola in risorsa interna a cui attingere. Rimanere presenti in un campo di tensione, preservare una condizione di calma, questo il senso.
Perché questa sensazione di stabilità possa essere ulteriormente rinforzata è bene focalizzare tutte le risorse presenti dentro di sé, riattivando ricordi piacevoli, peculiarità personali che fondano la propria persona e ne costituiscono l’essenza, aspetti positivi della propria individualità che ci riconoscono le persone per noi significative. Così facendo si allontana quella fuorviante identificazione con l’emergenza in corso ricontattando un certo ritmo interiore, fonte di benessere.
La quarta strategia, suggerita da Isabel Fernandez, rinomata psicoterapeuta specializzata nell’emergenza, rimanda alla necessità di mantenere una certa routine, per quanto possibile, poiché essa ci consente di riagganciarci al conosciuto, alla continuità. Preservare un campo sicuro dentro di sé significa anche dedicarsi alla bellezza, alle persone importanti, alle attività di nostro interesse, alle passioni magari trascurate da tempo, che possono alimentare la piacevolezza ed un senso di autoefficacia. Spendere del tempo con i propri cari, anche on line, respirare calore umano, poiché restare connessi è il modo migliore per alimentare la resilienza.
La quinta strategia è qualcosa che chi scrive ritiene sempre importante in ogni frangente della vita, moto dell’anima che rende l’esistenza più morbida: accogliere la propria fragilità, amare l’aspetto vulnerabile di sé. A nessuno è richiesto di essere un eroe e gli eroismi stancano l’anima. Ciò non significa dare libero sfogo alla catastrofizzazione, quanto piuttosto contemplare anche la presenza di emozioni faticose. Se il rimuginio peggiora le nostre capacità difensive e la razionalità è più che mai importante, accogliere e tollerare le emozioni difficili, che a tratti possono avere la meglio, senza auto-svalutarsi, significa fare pace con la propria umanità. Accettare le emozioni scomode, navigarci dentro senza aggrapparcisi, lasciarle fluire: onde che salgono, scendono e passano. Lo stesso vale per i pensieri ansiogeni: accoglierli, senza mai considerarli la verità assoluta, guardarli dritto in faccia per poi lasciarli andare, senza mai dimenticare di metterli al servizio di un comportamento gentile, coltivando gesti concreti che spostano l’attenzione su altro.
M. Recalcati, psicoanalista di pregio, scrive in questi giorni: “Chi crederà sarà salvato e battezzato, ma chi non crederà sarà condannato”, Marco 16.16. Il riferimento all’evangelista Marco, sottolinea, vuole essere un invito a considerare come solo la “fede nel desiderio” salva la vita: “Chi perde questa fede, chi smette di credere nel proprio desiderio, sarà dannato. Non da un tribunale divino ma da se stesso, poiché perderà il proprio nome singolare, quello ricevuto nel sacramento del battesimo”.Al di là della paura: il coraggio. Nessun eroismo, intendo il coraggio di riflettere sulle nostre vite. Questo virus sembra concernere l’ordine delle trasformazioni. Nella riscoperta di un destino comune, la vita umana si fa più preziosa. Alla fine di tutto questo, saremo più delicati nello stare dentro il fare della vita? C’è ancora tempo per mettersi in discussione e realizzare un cambiamento.
Ed infine, una canzone, un inno alla capacità di accogliere la propria fragilità. La musica scalda il cuore. Una canzone, che mi ha inviato proprio oggi un ex- fidanzato, per rincuorarmi, per fare oggi ciò che, insieme, non abbiamo saputo fare allora: starci un po’ più vicini. Anche questi sono i piccoli effetti di trasformazione del coronavirus.
Dott.ssa Luisa Ghianda
psicologa, counselor, ipnologa, psicodrammatista Volontari Servizio Urgenza Psicologica Monza