‘Dipinto informale, uno degli ultimi, dopo un percorso di dipinti figurativi e di paesaggi su legni antichi.’ – Stefania Rizzo mi indica le sue opere esposte nella casa della Cultura di Poggiardo insieme ad altre due artiste, Antonella del Giudice figlia d’arte, salentina di Poggiardo, e Ute Bruno tedesca di Aquisgrana, la capitale del Sacro Romano Impero concepito da Carlo Magno nell’800. Espongono ad una mostra promossa dalla locale sezione dell’Auser, sulla condizione della donna. Le artiste colgono vari aspetti della sensibilità femminile, alla prese con le acrobazie della vita, che ricordano le statuette della Magna Grecia esposte al Museo archeologico di Taranto e un film di Soldini del 1997 con la bravissima Licia Maglietta. Le sue dimensioni sono notevoli, mt 3x 1,90. ‘E’ una scelta. Lo spazio piccolo non mi basta più, provo il desiderio di espandere i colori e la gestualità su una superficie ampia.’ Il titolo è ‘Ordito e trama’: voler tessere la trama della nostra esistenza, fra vittorie e sconfitte. ‘Mi sento molto libera e vivo nuove sensazioni fra pennellate e spatolate, in orizzontale e verticale’. – prosegue Stefania. E’ sensazionale il fatto che inconsciamente vengano delle figure: ‘Qui c’è un occhio che mi guarda, come un super-io.
’Un altro quadro ha le dimensioni di cm 70×70 e fa parte della collezione ‘Genesi’. Sono ormai una quindicina e richiamano la nascita del mondo, il trionfo di Chronos sul Caos primigenio. ‘Ho usato di tutto: stoffe, lamiere arrugginite, rifiuti, combustioni.’ La realizzazione diventa processo creativo, dall’oggetto usato e rifiutato fino a risalire alla sua origine, un procedimento inverso, fino alla nudità della materia. Sono esposte 3 altre sue opere dipinte su legno antico di recupero, che ha già una storia. Trittico con papaveri è la prima. Antiche tavolette con cui le tabacchine pressavano il tabacco secco nelle casse. ‘Rappresenta la campagna salentina, i nostri colori, rosso, ambiente selvatico, erbe spontanee, un’altra vita, come se rivivessero.’
L’altra è un’anta di porta, inizi ‘900, con pomello di porcellana. Il procedimento sul legno prevede alcune operazioni preliminari: trattamento con antitarlo, pulizia dalla polvere e dalle incrostazioni del tempo. Scovato in stato di abbandono, in una campagna, su cui l’artista ha dipinto fiorellini ed erbe selvatiche.
Un’imposta di finestra in orizzontale, a tre riquadri con paesaggio marino dipinto richiama le vedute settecentesche. Emozioni più nascoste, interiori. ‘Colori a olio, olio e smalto misti, acrilico, a volte il colore forte, mi rappresentano. Sono sanguigna!’ – confessa la pittrice.
Dipinge da quando aveva 18 anni più o meno. Alcuni decenni di pittura hanno accumulato una produzione notevole: 400/500 paesaggi e circa 200 composizioni astratte. Stefania parte come stilista di moda e realizza abiti da sposa in collaborazione con un laboratorio di Specchia. Il passaggio alla pittura nasce da una insoddisfazione di fondo. Poi compie il gran passo, anche se confessa di non aver mai avuto coraggio. Nata a Zug, cantone tedesco, di mamma friulana, un paesino della provincia di Udine, la nonna di Kiev in Ucraina, figlia di un prete ortodosso. Vi rimase fino ai 18 anni e poi fu mandata a lavorare il Germania dove conobbe un prigioniero di guerra, che sarebbe diventato l’uomo della sua vita. Mia madre e mio padre di Depressa si sono incontrati in Svizzera, entrambi emigranti. Lì sono nata io e ho seguito la loro sorte, rientrando con loro qui a Depressa nel 1977, dove ho iniziato il mio percorso umano e artistico, ancora controverso come puoi notare.’