Siamo a nostra insaputa circondati da tanta arte, il più è saperla riconoscere.
Opere disseminate, goderne senza doverci mettere in fila per entrare in un museo è uno dei vantaggi di vivere nelle grandi città. Occorre avere occhi attenti e il desiderio di compenetrarsi nel messaggio subliminale che artisti di talento, a volte anonimi, più spesso a loro insaputa ci consegnano posizionando le loro creazioni nella consapevole inconsapevolezza che non tutti saranno in grado di coglierne l’intima essenza, ed è così che reticolati e angoli anonimi fanno da cavalletto e cornice a azioni di culturalizzazione militante in città sempre meno umane.
C’è del vissuto in ciò che disseminano privandosi del piacere dell’egoistico possesso. Oggetti d’uso, strumenti, mezzi di trasporto a alimentazione motoria umana, che ne sarebbe stato di loro? avendo perso l’originaria ragione di possesso diventano, sfuggendo a un ben altro destino, arredo e messaggio educativo sul disfacimento consumistico di una società che tende a eliminare e dimenticare.
Rinascita attraverso una dimensione altra, un velocipede sospeso tra terra e cielo, attesa di riprendere un viaggio interrotto. Arte per alcuni, vandalismo urbano per altri, con una più attenta valutativa definizione potremmo definirla la forma d’arte più in voga che ci sia. Per alcuni l’artista è l’interprete dei bisogni che diventano poesia quando l’oggetto è lo strumento per andare oltre l’estetica e rivelarsi per ciò che l’ha inspirata.
Gli artisti lanciano messaggi, portano in scena la contemporaneità, la rendono fruibile. Chi sarà l’autore, un nativo? un profugo?un nuovo abitante del disagio metropolitano? Credo di poter dire, senza tema di smentita, che questo genere di artisti non ha patria. Deve essere un gran sacrificio non poter firmare certi capolavori, una scelta dolorosa, dover nascondere anche a se stessi la paternità, passargli accanto e non potersene fare vanto, neanche un sosta contemplativa.
L’auspicio sincero è che il creatore di queste istallazioni sappia valutare che altri posizionamenti finirebbero per ridurre la grandezza della sua stessa opera rendendola alla fine monotona e pertanto triste.