Mi capita di essere invitato a pomeriggi e serate di conversazione partendo dalle mie pubblicazioni. Ci sono diversi miei omonimi importanti in più e disparati campi a cui mi associano per parentela o personalmente.
L’episodio, se vogliamo simpaticamente più imbarazzante, mi è capitato qualche mese fa in Calabria. L’invito e la locandina che indicava il mio intervento riportava Giuseppe Selvaggi scrittore e studioso di tradizioni popolari oltre che il titolo del mio ultimo libro.
L’evento era ospitato nel Castello Carlo V di una nota località di mare. Tanta gente, tanta bella gente. Prima di iniziare, una signora mi guarda emozionata e indicandomi con un gesto elegante si rivolge a me con un: “carissimo da quanto tempo”, notando la mia freddezza e il formale distacco la signora di palese aristocratica discendenza mi chiede se io fossi Giuseppe Selvaggi.
Per un attimo me lo sono chiesto anch’io, poi guardandola come fanno quelli che si credono unici gli ho risposto con convinta convinzione di si. Contenta mi ha squadrato, certamente per problemi visivi, e non paga della risposta mi ha rivolto un’altra domanda,: ma lei non invecchia mai?
Subito non ho capito, poi mi sono ricordato di un più noto Giuseppe Selvaggi (Cassano all’Ionio, 29 agosto 1923 – Roma, 26 febbraio 2004) che è stato giornalista parlamentare per “Il Tempo” ed “Il Messaggero” e direttore delle riviste culturali “Idea” e “Pianeta” (edizione italiana della francese “Planète”) e della rivista d’arte “Il Patio” della quale è stato fondatore.
Non sapendo cosa rispondere e per non deludere la mia “ammiratrice” temendo che potesse essere l’unica non ho trovato di meglio che dirle con rassicurante noncuranza: “sono io, ma non sono io”.
La risposta l’ha un po’ disorientata, sedendosi in prima fila ha continuato a guardarmi e ascoltarmi con attenzione. Prima che i tanti ospiti si accomiatassero, avvicinandosi per salutarmi, creandomi un qualche imbarazzo, mi ha regalato l’ultima perla: “lei è come la ricordavo”. Che dire, cercavano me ma non ero io.