Qualche decennio fa una stanza che non poteva mancare nelle case dei cosiddetti professionisti ero lo “studio” (oggi soppiantato da un soggiorno open space). Soprattutto i professori, che di fatto costituivano l’ossatura della buona borghesia, godevano di questo ambiente composto da ampie librerie a tutta parete, dalla poltrona dall’alto schienale e dall’antica e maestosa scrivania normalmente ingombra di cartelline, documenti, libri (il computer non era ancora elemento indispensabile dell’arredo, piuttosto faceva scena qualche imponente portapenne o artistico fermacarte). Se l’ambiente era ampio, a dare solennità agli spazi venivano poste poltroncine, divanetti, piante e mobile-bar. Alle pareti facevano bella mostra antiche stampe e l’immancabile certificato di laurea in pergamena, adeguatamente incorniciato.
Era qui che coloro che svolgevano un’attività legata al mondo della scuola, della cultura, della dirigenza in generale, ricevevano postulanti ed esaminavano carte, leggevano, correggevano compiti, scrivevano articoli, preparavano conferenze, si ritiravano per esaminare la contabilità familiare. Ed era un ambiente a loro riservato, infatti i figli studiavano nella loro stanzetta e non invadevano questo “sancta sanctorum” se non espressamente autorizzati, magari per la preparazione di un esame particolare.
Lo studio era segno di identità professionale e di status. Ma anche indizio che si trascorrevano volentieri diverse ore alla scrivania in solitudine, e si studiava veramente.
Quell’ambiente, ormai desueto, indicava che ci si riusciva a ritagliare tempi per studiare e aggiornarsi, favoriti dal fatto che era a portata di mano e offriva la giusta concentrazione. Era anche segno del tempo normalmente dedicato allo studio, nel senso di studio concettuale, chiusi in un clima di riservatezza.
Oggi è venuto meno “lo studio” nel senso di stanza dove studiare (dato che quando si fanno i compiti si preferisce la posizione sdraiata magari sul letto) e pure lo studio propriamente inteso.
Varie questioni, legate alle nuove abitudini social-tecnologiche, requisiscono il tempo, l’attenzione e la voglia.
Troppi impegni, richieste, scadenze, cose da fare non sempre utili e piacevoli, fanno perdere la voglia di aggiornarsi, o almeno di leggere, sicuramente di studiare alla vecchia maniera. Tutto congiura per non trovare nella giornata, o in una scadenza settimanale, il tempo utile per lo studio. E pensare che la giornata delle persone di rilievo pubblico di solito inizia presto e finisce tardi. Questioni di ogni genere risicano il tempo e le energie fisiche e mentali per cui diventa impossibile studiare: incontri, partecipazione ad eventi, a conferenze, a pranzi e cene legate al ruolo (e non al mero piacere dell’amicizia con i commensali), telefonate sempre più lunghe da quando i costi sono forfettari, risposte agli innumerevoli messaggi e chat a valanga ad ogni ora, questioni amministrative e burocratiche e di ordine organizzativo, preoccupazioni di lavoro scoraggiano pure la visione di un film in tv (tanti canali a disposizione e neppure un film che piaccia o che sia di interesse), figurarsi lo studio. Non si riesce a finire una cena senza il ripetuto segnale delle diverse notifiche. Purtroppo anche disattivando le notifiche, ci si può isolare solo per lo stretto necessario, perché poi ci si trova inondati di messaggi ai quali la correttezza impone riposta, o quanto meno un rapido sguardo.
Questa guerra contro il tempo e l’esasperazione degli impegni rendono la lettura e lo studio un lusso, purtroppo a volte vissuto come un modo per fuggire la realtà. E pensare che un tempo era un modo per rilassarsi, divertirsi e far qualcosa di utile per gli altri.
Del resto studiare esige concentrazione ed energie per cogliere le situazioni e il legame tra loro. Per tanti dovrebbe essere un dovere imparare e aggiornarsi. E’ altresì utile ad acquisire un metodo, una maggiore agilità mentale, un modo di porsi e di relazionarsi al meglio con ogni interlocutore.
L’apprendimento, infatti, sviluppa l’umiltà ed è antidoto contro la presunzione del sapere. Chi studia non teme di dichiarare i propri limiti e la propria ignoranza.
L’approfondimento è anche addestramento quotidiano. Chi si sforza di capire uno scritto ostico o complicato riesce pure a comprendere i casi del mondo o dell’amico che gli si confida.
Riflettere è dare il giusto peso ad ogni cosa nel momento in cui si pensa, si vaglia, si argomenta, si offrono conclusioni, si dà ordine logico alle cose o ai problemi o a quanto si deve esporre.
Lo studio ha una funzione di sostegno nei momenti di crisi, consente di mettere ordine negli affetti, di definire le priorità del momento e della propria vita, di razionalizzare le scelte.
In fondo certe conoscenze aiutano a trovare la soluzione ai problemi, traducendosi in risparmio di tempo a vantaggio della qualità della vita.
Allora, insieme al proprio pc, occorre avere modo e forza di volontà per isolarsi e dedicarsi alla lettura: magari per poco tempo ma impiegato bene avvalendosi dell’ausilio della tecnologia. Del resto chi scrive o insegna o ha comunque degli incarichi, vive una responsabilità educativa che deve necessariamente avvalersi dell’impegno culturale. Se non si ha nulla da dire, o non ci si riesce a preparare, è inutile accettare inviti e incarichi. Occorre avere il coraggio di disattivare per un’ora le notifiche, andare nello studio e leggere un vecchio libro per ritrovare l’emozione e la sensazione di benessere che in altri tempi ci ha dato.