C’è stato un tempo (neppure lontanissimo) in cui le conoscenze, gli approcci, gli amori nascevano de visu e si avvalevano di tecniche più o meno raffinate che avevano a che fare con il contesto sociale, gli usi consolidati, le disponibilità “reali”.
I luoghi di “azione” erano i classici ambienti di incontro dei paesi costituiti per lo più dalla piazza, dalla villa, dal viale principale. Lì si svolgevano i riti della movida paesana e delle passeggiate serali concentrate nel fine settimana o nei mesi estivi quando ormai la scuola era terminata e l’assenza di compiti e la bella stagione – in casa non erano diffusi i condizionatori d’aria – incentivavano all’uscita e all’incontro con gli amici e … con nuove conoscenze.
Lo strumento allora più tecnologicamente avanzato per superare le distanze era costituito dal telefono fisso ma, nonostante i mastodontici elenchi telefonici, recuperare un numero, o essere autorizzati ad usarlo, anche per presentarsi al genitore che poteva rispondere, non era cosa semplice.
La ritrosia naturale (la disinibizione tipica dei social era di là da venire) rendeva difficile recuperare un numero di telefono. Già ricevere uno sguardo e un sorriso era un’impresa che dava molta gioia.
Un modo impersonale di contatto, ma simpatico e accattivante, era dato proprio dalle dediche alla radio, effettuate tramite un fogliettino che veniva consegnato materialmente presso la sede dell’emittente e in cui era indicata la canzone (per lo più musica leggera italiana molto sentimentale) e la dedica: “A …. con affetto e simpatia….”. E poi si sperava che la destinataria fosse in ascolto.
Più laboriosa era l’organizzazione delle serate di gruppo che erano programmate dai giorni precedenti, e non potevano essere gestite seduta stante tramite il consueto giro di whatsapp. Talvolta le si improvvisava ma solo quando si era tutti riuniti. Quelli che non arrivavano in tempo dovevano girare per il paese in cerca della comitiva chiedendo informazioni ad amici comuni (per questo, se non si conosceva il programma della serata, si evitava di arrivare in ritardo agli appuntamenti).
I punti di ritrovo e gli orari erano sempre gli stessi: sagrati di chiese, monumenti, angoli di piazze, bar, cabine telefoniche (sì, servivano anche come luogo di ritrovo). Di solito questi luoghi davano anche il nome al gruppo o alla comitiva, quando non era dato dalla frequenza dello stesso istituto scolastico, o di una parrocchia, o di una associazione, un po’ meno, allora, per palestre, piscine o scuole di musica.
Di solito si passeggiava tutti insieme, e se una coppia tendeva a rimanere indietro, iniziavano gli sfottò da parte degli altri.
Nell’ambito delle “vasche” per il corso o per la piazza si adocchiavano le ragazze, e partiva il corteggiamento con una gradualità talvolta estenuante, incoraggiato dal romanticismo dei luoghi (giardini, monumenti, spiagge al tramonto). Si iniziava guardando la ragazza, con la sua compagnia, verificando se ricambiava lo sguardo. Poi ci si inseriva sulla sua traiettoria, cercando di passare il più vicino possibile, di cogliere un sorriso o un movimento che poteva far intuire interesse, e poi ci si inventava qualcosa per fermarla (tutte queste operazione potevano richiedere diverse settimane).
Quando si era più piccoli, l’innocenza autorizzava il gioco di spingere l’amico (più o meno) ignaro sulla sua potenziale conquista. Questo poteva o accelerare i passaggi o …. azzerarli rovinosamente.
Ovviamente non si potevano raccogliere dati, al fine di impostare una conversazione con la ragazza desiderata, ritracciando i profili su facebook, su instagram, whatsapp, per cogliere una foto. Nella migliore delle ipotesi si poteva ricorrere a qualche amica comune per avere informazioni di prima mano su dove abitava, che scuola o che parrocchia frequentava, e poi passeggiare casualmente da quelle parti sperando di incrociarla da sola, farsi arditi e fermarla (senza la zavorra della comitiva che faceva da scudo).
Alcuni amori duraturi, non legati alla novità o al capriccio del momento, sono nati proprio così.
Come occasione di socializzazione occorre altresì considerare le feste in casa (non nei locali pubblici o ristoranti) con adeguata attrezzatura “fai da te” di stereo e lampade a luce soffusa (se non proprio spenta in alcuni momenti). Non erano legate necessariamente a un compleanno o a un capodanno, ma ogni occasione era buona: l’arrivo della primavera, la fine della scuola, o semplicemente il desiderio di trascorrere insieme un sabato invernale, quando era troppo freddo per passeggiare in piazza.
In queste feste si scattavano foto (il cui rullino veniva consegnato al fotografo che provvedeva a sviluppare e stampare nel numero di copie richiesto e riconsegnare anche 15 giorni dopo) ma non erano esibite da nessuna parte in attesa di un “mi piace”. Erano conservate gelosamente in qualche libro, o in qualche cassetto, e venivano guardate a ricordo di una bella serata in cui si era ricevuto un atto di tenerezza dalla persona alla quale si teneva. Era ancora il tempo in cui era romantico rifugiarsi in un portone – durante un temporale – con la ragazza dei propri sogni, come cantava Massimo Ranieri. Solo un portone e la pioggia potevano proteggere dalla costante presenza degli onnipresenti amici e dalla riservatezza che caratterizzava lo stare in comitiva, e potevano incoraggiare la rivelazione dei sentimenti.
Storie senza tempo, antiche (relativamente) ed emozionanti, sicuramente romantiche, tenere, sognanti.
Ma dobbiamo andare avanti e cercare l’animo romantico anche nell’era tecnologica, capace di farci trasalire, come quando si riceveva lo sguardo che si cercava durante il giro in piazza.
Ormai è tramontato pure il breve periodo dei primi cellulari, quei modelli giganti, le cui tariffe non erano basate su minuti, sms e giga, ma la tariffa era una sola, con due fasce orarie, di cui quella centrale assolutamente non competitiva. Chi poteva permetterselo utilizzava il cellulare aziendale e pure con parsimonia.
Oggi … è tutto diverso, basta cercare il profilo facebook e si chatta subito: immediatezza di amicizia, almeno nel senso di facebook, così ci si scambia il numero di cellulare, ed è tutto a portata di smartphone. Il corteggiamento, anche più esplicito o meno romantico, può avere inizio. Con meno timidezza e più spigliatezza grazie al filtro dello schermo che rende audaci. Gli studiosi e le statistiche hanno anche individuato quanti messaggi ci vogliono per iniziare una relazione.
Esiste oggi un romanticismo digitale? Penso di si, magari senza i tempi lunghi di vent’anni fa. La notifica di un messaggio o di una chat, di cui si è in attesa, rende molto particolare il momento dell’apertura del messaggio. Poi capita che non sia quello il messaggio o la persona che si aspettava. Ma quei pochi secondi tra il suono della notifica e l’apertura della chat consentono di sognare. E chissà, prima o poi arriverà anche il messaggio giusto…