Nel 1952 esce nelle sale “Luci della ribalta” di Charlie Chaplin. È un momento molto complesso per il grande attore e regista di origini inglesi. “Monsieur Verdoux”, il suo lungometraggio precedente del 1947, in cui Chaplin per la prima volta non indossa i panni di Charlot, ha incrinato ancora di più i già difficili rapporti con la sua terra d’adozione, gli Stati Uniti. Accusato di avere simpatie comuniste, Chaplin diventa oggetto di una campagna diffamatoria deleteria, alimentata dalla paranoia dilagante in America causata dalla Guerra Fredda. Non gli servirà nulla dichiarare davanti alla Commissione sulle attività anti-americane, sempre nel 1947, di non essere un comunista ma “un pacifista a oltranza”.
Depresso per la cattiva accoglienza di “Monsieur Verdoux” e dalla disaffezione del pubblico, Chaplin inizia a lavorare al nuovo film confessando ai suoi collaboratori che sarà il suo ultimo, grande, lavoro. In “Luci della ribalta” Chaplin esorcizza la paura-ossessione di una vita, quella cioè di essere rifiutato dal pubblico. Il nuovo lungometraggio viene ambientato a Londra, dove Chaplin è nato e ha mosso i primi passi nel mondo dei music-hall. In un certo senso il film è avvolto da un senso di nostalgia per un passato glorioso, quello legato al ruolo del clown – vagabondo Charlot. Una maschera che indossa anche Carnero, interpretato dallo stesso Chaplin, un vecchio attore – clown ormai caduto in oblio, alcolizzato e senza soldi.
Il film racconta la storia d’amore che nasce tra Carnero e una ballerina, Terry (Claire Bloom), dopo che quest’ultima ha provato a togliersi la vita. Salvata da Carnero, Terry ritrova la voglia di vivere e di ballare grazie alle cure affettuose del vecchio attore. Per riflesso, anche Carnero proverà a calcare nuovamente il palcoscenico, con risultati altalenanti, fino all’uscita di scena definitiva.
“Luci della ribalta” è un film che non invecchia mai perché, al di là della storia, racchiude delle sequenze memorabili. Come quella, onirica, in cui Carnero sogna di essere a teatro e di avere una sala piena di gente che lo acclama. All’improvviso però si accorge che gli spalti sono vuoti e si sveglia terrorizzato. Chaplin rappresenta così la paura più grande di tutta la sua gloriosa carriera, quella di non essere più amato dal pubblico. La stessa ossessione riemerge in un’altra sequenza in cui Carnero viene schernito dagli spettatori durante uno spettacolo; una reminiscenza di quanto vissuto sessant’anni prima da Chaplin in persona, quando la stessa cosa accadde alla madre durante uno spettacolo a Londra. Sommersa dai fischi per un calo di voce, il piccolo Chaplin dovette sostituirla, debuttando in un music-hall a soli cinque anni di età.
Con “Luci della ribalta” diventa centrale, per la prima volta in un film di Chaplin, anche la vecchiaia intesa come periodo di decadenza, non solo fisica, personificata da Carnero, in contrasto con la giovinezza legata all’energia e alla speranza, personificata invece dalla ballerina Terry. Nemmeno l’amore, sembra suggerirci un rassegnato e pessimista Chaplin, può unire le distanze tra questi due diversi periodi della vita. Con questa pellicola, inoltre, per la prima volta lo spettatore scopre il vero volto, stanco e afflitto, di Chaplin, nascosto per moltissimi anni dalla maschera di Charlot.
Una delle perle di questa grande opera di Chaplin è anche la presenza di Buster Keaton, seppur in un’unica, memorabile scena. Se al momento delle riprese del film Chaplin non se la passa bene, Keaton, uno dei re indiscussi del periodo aureo del cinema muto, è ormai completamente caduto nell’oblio. I due geni si sfidano a suon di trovate comiche sul set e si narra che Chaplin abbia tagliato diverse parti in cui Keaton appariva troppo divertente.
Il film si conclude con il commiato di Chaplin che mette in scena la sua stessa morte sul palco, al contempo comica e patetica: quella di Carnero, ex clown di successo come Chaplin-Charlot, ormai disprezzato dal pubblico e troppo vecchio per continuare a calcare le scene.
“Luci della ribalta”, accolto bene in Europa, segna l’addio definitivo di Chaplin agli Stati Uniti, ma non la fine della sua carriera nel mondo del cinema. Vengono venduti gli studios e cedute le quote della United Artists di proprietà di Chaplin. Per motivare la decisione di non tornare più negli Stati Uniti, dopo la prima del film tenutasi a Londra, Chaplin dichiara in un comunicato stampa di essere “vittima di calunnie e di una propaganda maligna da parte di potenti gruppi reazionari”, con “l’aiuto della stampa scandalistica americana” (David Robinson, Chaplin, La vita e l’arte, Marsilio, Venezia, 2005, p. 632).
“Luci della ribalta” è l’ultimo grande film di Chaplin, il compimento del lavoro di una vita, anche se non l’ultima opera poiché girerà altri due lungometraggi prima di porre la parola fine alla sua lunga e gloriosa carriera nel mondo della Settima arte.