Evviva!! Finalmente abbiamo un Inno Nazionale. Dopo 71 anni di provvisorietà, ed una serie incredibile di tentativi susseguitesi in varie legislature, le Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato in poche settimane hanno approvato in sede deliberante la legge che conferisce ufficialità all’Inno Nazionale, fino ad ora in uso grazie ad un provvedimento provvisorio del Consiglio dei Ministri del 12 ottobre 1946 che definiva però l’Inno di Mameli “Canto degli Italiani”.
Ci sono voluti 71 anni di precariato, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Possiamo dire che l’Italia è (quasi) fatta, adesso ci aspetta l’impresa più ardua: fare gli italiani. E non sarà un’impresa facile.
A guardarsi intorno si può essere indotti al pessimismo, se non addirittura allo sconforto, ma abbiamo il dovere almeno di provarci.
Certo in questo particolare momento l’impresa si presenta ardua. L’italiano, si sa, è tendenzialmente esterofilo. Se poi diamo uno sguardo alla Storia, ci accorgiamo che il Fascismo ha lasciato strascichi non indifferenti. La legittima reazione a tutto ciò che era proposto dal regime ha azzerato valori che nulla avevano a che spartire col fascismo. E’ pur vero che questi se ne era indebitamente appropriato, ma cancellarli del tutto è stato il grosso errore del 2^ dopoguerra. L’amor di Patria, il simbolo della bandiera tricolore, il senso di appartenenza ad un popolo, il rispetto per la gerarchia e l’ordine, furono accomunate al nazionalismo ed ogni loro esternazione tacciata come fascista. In un solo colpo la spinta rivoluzionaria del Risorgimento fu cancellata e bollata come retorica. Peccato che quegli stessi valori in Paesi che il fascismo lo hanno combattuto e sconfitto sono sempre stati ben presenti. Ciò vuol dire che l’accezione negativa che vi abbiamo dato era tutta e solo nostra. Valori che, comunque, sono sopravvissuti per lungo tempo nel nostro Paese solo grazie ad una ristretta cerchia di persone, ovvero nel solo ambito militare. Un primo sussulto di orgoglio nazionale si ebbe con il Presidente Ciampi, che reintrodusse l’Inno di Mameli e l’esposizione del tricolore nelle cerimonie pubbliche. Un’azione che ha avuto il merito di farci scrollare di dosso una retorica che colpiva indiscriminatamente ogni simbolo nazionale.
Ma l’affermazione di uno spirito nazionale diffuso e radicato, prodromo di una ripresa anche morale di un popolo che affronta una profonda crisi morale e sociale, prima che economica, è ancora lontano.
Corruzione, burocrazia, malaffare, furbate da quartierino, sono i mali simbolo della nostra bella Italia. Sono il prodotto di uno stato di abbandono morale che ha permesso nei decenni l’affermazione di intere classi dirigenti del mondo politico, economico, finanziario, votate esclusivamente all’arrivismo, al potere e all’arricchimento personale. Un degrado morale ammantato di un’ideologia libertaria portata all’estremo che ha permesso un lassismo morale deleterio.
L’azione di Ciampi produsse un qualche effetto nel tempo. Anche il riconoscimento di un Inno Nazionale potrebbe farlo.
E’ evidente che le due azioni da sole non bastano, ma sono un segnale. Sono un segnale per una cerchia sempre più estesa di cittadini che in questo Paese si crede davvero. Una cerchia che comprende ormai una vasta pletora di persone che ogni giorno silenziosamente offre il proprio contributo al Paese, operando nel lavoro, nel volontariato, nel sociale, con onestà, dedizione, senso del dovere. E lo fa, purtroppo, silenziosamente. Forse sarebbe meglio che questo silenzio fosse rotto. Sarebbe opportuno che queste persone alzassero la testa e facessero sentire la propria voce.
Questa maggioranza silenziosa non ci serve. Serve una maggioranza che faccia valere i valori di cui è portatrice, manifestando pubblicamente il proprio pensiero. Spesso, invece, queste persone evitano di intervenire anche nelle piccole situazioni per paura o per vergogna, lasciando campo libero allo sfacelo. E così, pur essendo a tutti evidente, nessuno si azzarda a riprendere chi sale sull’autobus senza biglietto, nessuno fa notare a qualche giovane un comportamento non proprio educato assunto in pubblico, nessuno segnala chi abbandona bottiglie di birra vuote magari anche rotte sui marciapiedi antistanti le scuole dei bimbi più piccoli.
Piccole cose, è vero. Ma pensare ad una rivoluzione cruenta o ad un nuovo “Lui” che rimetta tutto a posto in un battibaleno è il modo migliore per non fare niente. Cominciare dalle piccole cose, dai gesti quotidiani del vivere civile, da noi stessi, per poi avere attenzione anche agli altri, sarebbe già un inizio.
E’ necessario che queste persone, oggi più che mai, si “stringano a coorte”. E un giorno chissà, ognuno di noi non esisterà più un secondo a riprendere, così come adesso avviene nella vicina Svizzera, chi getta anche solo un mozzicone di sigaretta per terra. E pian piano ricominciare a vivere civilmente, fino ad avere città pulite, persone educate sui mezzi pubblici, giovani disciplinati a scuola, politici onesti, lavoratori dediti, istituzioni efficienti.
Allora potremo dire che “ l’Italia s’è desta!!”.