L’ “assordante” silenzio di Dio è al centro dell’ultimo, attesissimo film di Martin Scorsese intitolato “Silence”. Un’opera cui il celeberrimo regista americano ha lavorato per quasi trent’anni, ispirata dall’omonimo romanzo “Silenzio” dello scrittore giapponese cattolico Shusako Endo.
Nel XVII secolo due gesuiti portoghesi – Sebastião Rodrigues (Andrew Garfield) e Francisco Garupe (Adam Driver) – partono per il Giappone alla ricerca di padre Ferreira (Liam Neeson), loro mentore scomparso dopo aver abiurato. Sull’arcipelago nipponico, intanto, continuano le cruenti persecuzioni contro i cristiani per volere dello spietato inquisitore Inoue (Issei Ogata).
I due gesuiti, una volta giunti in Giappone, cercano di portare avanti la loro missione di evangelizzazione, dando sostegno alle comunità locali convertitesi al cristianesimo, interpretato in una forma ibrida contaminata da elementi derivanti dal buddismo. Con il passare del tempo, i due preti realizzano di essere la principale fonte di pericolo per i contadini che li hanno accolti e nascosti dalla spietata caccia dell’Inquisitore, che non esita a torturare gli abitanti dei villaggi per ottenere l’atto di abiura nei confronti della fede cristiana. Il rito formale consiste nel calpestare un’immagine sacra raffigurante Gesù.
Tra personaggi deboli e forti che ricordano i protagonisti del Vangelo, i due giovani gesuiti comprendono di aver peccato di superbia perché il prezzo da pagare per professare la fede cristiana in Giappone è troppo alto per chiunque e che entrambi non possono far sacrificare la vita di tanti contadini analfabeti in nome di una religione estranea alla cultura orientale e che non hanno neppure interiorizzato fino in fondo.
Rodrigues, una volta catturato dall’Inquisitore a Nagasaki, attraversa una crisi mistica: un calvario la cui storia diventa, col passare dei minuti, sempre più simile a quella di Gesù, in un rapporto dialettico tra santità e fragilità umana che si risolverà in una sorta di compromesso pratico , permettendo di far risparmiare un ulteriore e inutile spargimento di sangue innocente.
Un altro tema al centro di questo bellissimo film, perfetto dal punto di vista visivo, è quello dell’abbandono, visto da un triplice punto di vista: come allontanamento dalla fede, come “assordante” silenzio di Dio (“Padre, perché mi hai abbandonato?” dice Gesù nel Vangelo) e, infine, inteso come capacità di abbandonarsi completamente a Dio nonostante il suo apparente silenzio.
Un altro dei pregi di “Silence” è la volontà del regista di ribaltare spesso prospettiva, facendo comprendere come dal punto di vista giapponese i missionari cristiani rappresentino in realtà una minaccia colonizzatrice occidentale e dei “selvaggi” incapaci di comprendere gli usi e costumi locali, mettendo a repentaglio la stessa società giapponese basata sulla cultura buddista.
Scorsese costruisce così un film binario e palindromo, aperto a più interpretazioni, senza forti prese di posizione da parte del regista che invece mostra le ragioni e i torti sia dei cristiani occidentali che dei giapponesi buddisti. Uno scontro di civiltà e di religione aperto, dove tutti i discorsi teologici e politici passano in secondo piano rispetto alla reale sofferenza della povera gente che, in un “silenzio assordante”, è vittima dello stesso martirio di Gesù Cristo sulla croce.
Le dicotomie Bene-Male e superbia e santità sono le colonne portanti di “Silence”, un film che non può lasciare indifferenti gli spettatori perché capace di colpirli non solo sul piano estetico (grazie anche alle scenografie e ai costumi a cura dei maestri italiani Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo), ma anche su quello dell’inconscio, indagando a fondo sia la natura umana che il tema della fede.